La stagione delle premiazioni cinematografiche si è aperta decisamente bene per Tre manifesti a Ebbing, Missouri (Three Billboards Outiside Ebbing, Missouri): il film è infatti apparso come una delle rivelazioni più interessanti alla Mostra del Cinema di Venezia, tanto da aggiudicarsi il favore della critica internazionale con il premio per la migliore sceneggiatura grazie al suo racconto e ai suoi dialoghi taglienti. A capo della regia e della sceneggiatura Martin McDonagh, la cui opera ricca di intensi monologhi è stata accolta da una calorosa esplosione di applausi alla fine della sua proiezione al Lido.
La storia di Tre manifesti a Ebbing, Missouri è la seguente: una madre in lutto (interpretata da Frances McDormand) decide di sfidare il capo della polizia (interpretato da Woody Harrelson) appendendo tre giganti manifesti, nei quali lo accusa in modo provocatorio di non aver fatto abbastanza per rendere giustizia a sua figlia, barbaramente stuprata e uccisa. Nel cast è presente anche Sam Rockwell nei panni di un poliziotto razzista, accanto a Peter Dinklage che, a sua volta, si impadronisce di qualche scena del film.
Riportiamo qui sotto l’intervista rilasciata da Martin McDonagh all’Hollywood Reporter, dove il regista e sceneggiatore ci spiega alcuni dettagli del suo lavoro in Tre manifesti a Ebbing, Missouri.
Com’è stato concepire una protagonista femminile così multistrato?
Scrivere un personaggio del genere è di sicuro molto eccitante, non sai mai dove potrebbe arrivare e, tanto meno, come potrebbero reagire gli spettatori di fronte alle sue azioni. E penso sia questa la forza del film: la sua autenticità. Mildred Hayes lotta in nome della verità e della giustizia, anche se potrebbe sembrare addirittura pericolosa in qualche occasione. È liberatorio concepire un personaggio così unico e forte: ecco perché lo rifarò in futuro. E non riesco ad immaginare ora come ora un’attrice più adatta di Frances per interpretare quel tipo di integrità e vulnerabilità, il suo essere così acuta e ironica.
È stato difficile mantenere il senso dell’humor pur trattando certi temi?
No, direi di no, è una cosa che faccio sempre nei miei film. Propongo spesso questo connubio. Non c’è nulla di troppo serio che non possa essere anche divertente, e viceversa. Certo, questa volta abbiamo dovuto fare più attenzione per non sfociare troppo ingenuamente nell’umoristico: la tragedia è quella su cui abbiamo voluto focalizzarci e questo è stato reso semplice, grazie soprattutto a Frances, che ha dato credibilità e autenticità alla storia del suo personaggio.
Riguardo al suo primo film, In Bruges – La coscienza di un assassino, ha detto che c’è stata una continua battaglia con lo studio per mantenere il controllo sulla storia. Com’è andata questa volta?
Questa è stata l’esperienza più semplice che abbia mai avuto. C’erano persone diverse, ho lavorato con la Fox Searchlight, sono sempre stati tutti molto disponibili; confesso che, al tempo, Graham, il produttore che ha anche prodotto gli ultimi due film, aveva detto: “Ecco lo script. In Bruges è un film che dovete accogliere così com’è. Questa è la sceneggiatura: non accettiamo nessuna nota, nessun consiglio. Lo volete o no?”. Ma questa volta non c’è stato bisogno di imporsi, tutti erano d’accordo con quello che era stato proposto, per cui abbiamo realizzato il film basandoci su quello che volevamo davvero.
Anche la parte di Peter Dinklage in Tre manifesti a Ebbing, Missouri era stata scritta apposta per lui?
Effettivamente ho desiderato a lungo lavorare con Dinklage. L’ho seguito fin dai suoi primi passi, da quando recitava ancora nei palchi di New York, e l’ho visto in molte altre sue performance, prima ancora de Il trono di spade o di Station Agent. Avendo sempre voluto lavorare con lui, insomma, ho scritto quella parte nella speranza che interrompesse brevemente il suo lavoro per Il trono di spade per interpretarla: il suo è un personaggio triste, ma allo stesso tempo dolce. Chissà, magari ci sarà un sequel…
Spera di fare qualche altro film o di tornare a teatro ora?
Film, ma spererei di metterci meno tempo rispetto a quest’ultimo. Tre anni e mezzo è decisamente troppo! Anche se, dopotutto, è stata un’esperienza davvero spensierata. Non so se sia perché ho avuto a che fare con tanti attori con cui avevo già lavorato, o perché ho collaborato ancora una volta con Ben David e Peter Kohn. Diciamo che non mi sono stressato tanto quanto in passato, per questo, forse, l’ho apprezzato più degli altri due film.
… A questo punto, non ci resta che invitarvi a leggere le nostre impressioni su Tre manifesti a Ebbing, Missouri: per farlo, basta cliccare qui.
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Fonte: The Hollywood Reporter