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Honey Boy

Honey Boy: la recensione del film con Shia LaBeouf

La recensione di Honey Boy, il film scritto da Shia LaBeouf a partire dai ricordi della sua infanzia e diretto dalla regista di origini israeliane Alma Har’el.

Honey Boy: la trama

Otis Lort (Lucas Hedges, Noah Jupe nei flashback) è un giovane attore di talento dal carattere turbolento, segnato da irrisolti traumi infantili. La produzione cui è legato gli impone di consultare un’analista (Laura San Giacomo), per superare il suo stato di irrequietezza perenne. Sarà un’occasione per affrontare i dolorosi ricordi della difficile infanzia vissuta con il padre James (Shia LeBeouf) e in quasi totale assenza della madre.

Honey Boy: le nostre impressioni

Shia LaBeouf in Honey Boy

Nel 2018 le prime foto di Shia LeBeouf dal set di Honey Boy (di cui è anche co-sceneggiatore) avevano destato scalpore tra i fan. L’attore, infatti, appariva irriconoscibile, con il fisico imbolsito e il look trasandato che ricorda il Tom Cruise di Nato il quattro luglio. L’occasione della trasformazione era l’interpretazione di un personaggio ispirato al suo stesso padre, disegnato grazie ai ricordi di LeBeouf. L’attore canadese, quindi, assume le sembianze di James Lort, saltimbanco e reduce del Vietnam spezzato da un passato di tossicodipendenze; e LeBeouf è formidabile nell’assumerne le ossessioni, i complessi e l’incostanza mentale generati dall’astinenza.

Nel ruolo del figlio brilla Noah Jupe, in scena nei flashback dedicati alla complessa infanzia di Otis. Tra i comprimari spiccano la cantante R&B Tahliah Debrett Barnett (in arte FKA twigs) e Clifton Collins Jr, rispettivamente la vicina di casa e un assistente sociale. Entrambi sono personaggi che aiutano il protagonista a immaginare figure genitoriali e possibili e alternative rispetto alla madre assente e al padre incostante.

Una scena di Honey Boy

Questo cast, ottimamente assemblato, è abilmente diretto da Alma Har’el, regista americana di origini israeliane all’esordio nella fiction dopo esperienze con videoclip e documentari arthouse (Bombay Beach, TrueLove). Questa dona un’impronta caratteristica delicata a un racconto di formazione apparentemente “maschile”. In tal senso, è del tutto fondamentale il contributo dato dal calore amniotico della fotografia di Natasha Braier.

Altro elemento distintivo, inoltre, è quello di un plot sì canonico, ma distinto da uno sguardo non banale sull’industria dell’intrattenimento. James Lort è un ex saltimbanco, abile in grossolani numeri con le galline, mentre Otis è un astro nascente delle produzioni televisive. Il conflitto, pertanto, muove anche su aspetti propri dell’entertainment, dove James incarna una marginalità un tempo al centro dello spettacolo popolare, soppiantata appunto da cinema e televisione. Inoltre, James si ritrova a vivere come lavoratore dipendente del figlio, aspetto foriero di ulteriori tensioni.

Ma ogni malessere e incomprensione potrebbe acquistare nuova luce grazie al distacco delle sedute terapeutiche. Il dialogo tra paziente e psicologa (Lucas Hedges e Laura San Giacomo sfruttano al massimo lo scarso minutaggio) potrebbe disvelare la vera consistenza del doloroso rapporto tra l’attore bambino e il clown in disarmo.

Honey Boy

Valutazione globale - 7

7

Brillante racconto di formazione ambientato ai margini dell'industria dei sogni, dove anche il dolore può diventare illusione.

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Honey Boy: un giudizio in sintesi

Lo spettatore in cerca di un feel good movie per nulla ricattatorio e che riesce a distillare la verità all’interno di un conflitto padre-figlio sarà sicuramente soddisfatto da Honey Boy. L’opera di Alma Ha’rel è un film di scelte giuste e misurate, dal tono delicato, al cast e anche sui virtuosismi estetici. L’obiettivo primario di rendere giustizia alle memorie di Shia LeBeouf e di riportarne sullo schermo la specificità viene abbondantemente onorato. Un difetto, tuttavia, lo si potrebbe riscontrare nell’eccessiva speditezza del finale, che avrebbe meritato una risoluzione più strutturata. Il risultato, in ogni caso, è un racconto familiare non scontato, dall’identità precisa e dove dolcezza e amarezza coesistono in armonia come nel miele di corbezzolo.

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About Giulio Mantia

Sono un immoderato consumatore di film improvvisatosi recensore amatoriale. Cerco di scrivere di cinema nei limiti delle mie conoscenze ed evitando di farla fuori dal vaso. Accetto volentieri critiche, osservazioni e confutazioni. Il mio film preferito è senza dubbio Dal Tramonto all'Alba di Rodriguez/Tarantino, un'allegra miscela di delirio e badassment che riesce sempre a rallegrarmi.

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