La recensione dell’opera seconda dei Fratelli d’Inoccenzo, Favolacce, vincitrice dell’Orso d’Argento al Festival di Berlino 2020.
Favolacce: trama
C’era una volta una favola nera, ambientata nella periferia sud di Roma, tra la malinconica litoranea brutalmente costruita ed una campagna che è stata palude. Una piccola comunità di famiglie, i loro figli adolescenti, la scuola. Un mondo apparentemente normale dove silente cova il sadismo sottile dei padri, impercettibile ma inesorabile, la passività delle madri, l’indifferenza colpevole degli adulti. Ma soprattutto è la disperazione dei figli, diligenti e crudeli, incapaci di farsi ascoltare, che esplode in una rabbia sopita e scorre veloce verso la sconfitta di tutti.
Le nostre impressioni
In un’anonima periferia residenziale di Roma la vita di alcune famiglie trascorre apparentemente tranquilla. L’estate si fa via via sempre più rovente, la scuola volge al termine, la noia prende il soprassalto. Gli adulti, appartenenti alla classe medio borghese, né ricchi né poveri, vivono all’interno di una sorta di bolla apatica, incapaci di dimostrare (o addirittura di provare) affetto per i propri figli, vantandosi però, con i loro vicini, della loro intelligenza e dei bei voti presi a scuola. E i più piccoli questo vuoto esistenziale dei loro genitori lo percepiscono eccome, essendone coinvolti in prima persona. Si percepisce l’angoscia che provano, il senso di spaesamento a cui vanno sovente incontro; ne sono insomma travolti. Il non avere dei punti di riferimento a quell’età non è una cosa molto positiva e, alla lunga, può sfociare in qualcosa di inatteso, tipo un gesto eclatante pronto a squarciare l’illusorio clima di tranquillità.
Così come nel loro folgorante esordio con La terra dell’abbastanza, è ancora una volta l’estrema periferia romana l’ambiente che fa da sfondo alle storia, o per meglio dire alle storie raccontate dai fratelli D’Innocenzo. Nella loro prima opera il racconto aveva un’impronta molto più aderente alla realtà. In Favolacce, invece, i toni sono più apparentemente surreali e più attinenti agli stilemi classici delle favole. Lo si intuisce già leggendo il titolo dell’opera, una crasi tra le parole “favola” e “parolacce”, e dalla voce fuori campo (Max Tortora) che ha il compito di introdurre e raccontare la storia.
Il ritratto che i Fratelli D’Innocenzo ci restituiscono di queste famiglie è spietato, a tratti terrificante. Alcune scene arrivano financo ad essere disturbanti. Non vorresti guardarle, da quanto fanno male. Anche se con stile e tematiche diverse, la mente corre subito a certi film di Michael Haneke (su tutti Il nastro bianco). La violenza che ci viene sbattuta in faccia non è solo quella carnale, ma anche psicologica, che a differenza della prima è una costante nella vita di queste famiglie, e le prime vittime sono proprio i più piccoli, quelli più indifesi e più deboli.
Il duo di autori sembra volerci dire che il nostro mondo è pieno di povertà morale, prima ancora che sociale. Che tutti quei personaggi negativi che popolano le favole li ritroviamo anche nella vita reale. Che li conosciamo, sappiamo chi sono e dove abitano. Forse ci scandalizziamo per un po’, giusto il tempo di un servizio del telegiornale, ma poi torniamo alla vita di tutti i giorni, facendo finta niente. E la vita ricomincia.
Si avverte a più riprese l’esigenza per i due fratelli di raccontare questa storia che hanno scritto quando avevano soltanto 19 anni e che hanno tirato fuori al momento giusto, quando la loro maturità di artisti è diventata ancora più affinata dopo il promettente esordio di qualche anno fa. La loro regia è sempre molto precisa, mai banale come invece è il male che si annida all’interno delle villette a schiera del quartiere suburbano popolato da figure grette e represse. A darne corpo è una schiera di attori poco conosciuti al grande pubblico, provenienti principalmente dal teatro, ad eccezione di Elio Germano, un padre-padrone che inquieta ogni volta che appare sullo schermo.
Un pugno nello stomaco
Valutazione globale - 7.5
7.5
Giudizio in sintesi
Favolacce, la seconda opera scritta e diretta dai Fratelli d’Innocenzo, vincitrice dell’Orso d’Argento a Berlino, è un cupo e glaciale ritratto di alcune famiglie medio borghesi che popolano un anonimo quartiere residenziale alla periferia estrema di Roma. Tra padri padroni, donne smarrite nella propria apatia e bambini a cui manca un vero e proprio punto di riferimento che li sappia saggiamente guidare nel loro processo di crescita, Favolacce rappresenta l’opera della maturità di un duo di artisti che iniziano a trovare un posto di tutto rispetto nei manuali di cinema italiano.
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