Sandrine Bonnaire e Gaël Morel hanno presentato il film Prendre le Large alla 12a edizione della Festa del Cinema, un interessante film sulla classe operaia visto da una nuova prospettiva: se il lavoro di mano d’opera in fabbrica in alcuni paesi costa meno, i valori sociali come fratellanza e solidarietà rimangono inestimabili.
Prendre le Large: la sinossi
La 45enne Edith (Sandrine Bonnaire), è un’operaia nel settore tessile che sceglie di trasferirsi a
Tangeri quando la sua fabbrica chiude, delocalizzando la produzione in Marocco. Senza legami affettivi e distante ormai dal figlio che vive a Parigi, sceglie su due piedi di accettare la proposta lavorativa anziché la liquidazione, “prendere il largo” e salpare verso il Marocco. Una volta a Tangeri faticherà non poco a trovare il suo posto in fabbrica, tra operaie che la vedono come una privilegiata, e in un paese dove solitamente gli europei vanno solo per turismo. Confortata finalmente dall’amicizia con Mina (Mouna Fettou), la proprietaria della pensione in cui abita, Edith riscoprirà il valore dei legami perduti e della solidarietà femminile.
Prendre le Large: impressioni
Sia in Francia sia in Marocco ritroviamo le stesse atmosfere cupe e drammatiche, comuni a tutte le fabbriche del mondo. La protagonista lascia l’inferno per il paradiso che si rivela un paradiso più emotivo che abitativo. A Tangeri, Edith trova quella solidarietà che in Francia le è mancata e quegli effetti che in casa aveva perduto. Un monito contro un mondo capitalista che – in Europa come in Africa, trasforma gli uomini in animali egoisti e sospettosi.
Si tratta di un film molto realistico e duro che fa riflettere sui rapporti interpersonali nell’era della delocalizzazione. L’accanimento di Edith nel voler continuare a lavorare perché il lavoro dà un senso alla sua vita non viene compreso in patria, specialmente dalle sue colleghe rimaste a scioperare. Determinata a lavorare, lei accetta anche i lavori più umili, senza demordere.
Prendre le large mi fa ripensare ai recenti film sulle lotte sindacali, come Due notti, Un giorno di Luc e Jean-Pierre Dardenne (2014) o 7 Minuti di Michele Placido (2016). Tuttavia, se i primi denunciano delle situazioni con rabbia passiva, questa pellicola offre nel finale accomodante una possibilità di riscatto, se non in patria, altrove. Il finale buonista – dichiara il regista in conferenza stampa – rappresenta la speranza per un mondo che vorrebbe, non basato sul lavoro, ma sui rapporti umani. Fuori dalla fabbrica, nel Marocco di Gaël Morel, la solidarietà è ancora un forte e impagabile valore sociale.
Prendre le large
valutazione globale - 6
6
Drammatico e provocatorio
Prendre le Large: curiosità
Per il soggetto del film, Gaël Morel in conferenza stampa dichiara che, sebbene la delocalizzazione in Francia sia un problema quotidiano, si è ispirato a episodi avvenuti nella vicina Spagna durante la recente crisi che ha costretto molti lavoratori spagnoli trasferirsi in Marocco seguendo le produzioni.
Per i personaggi del film, che sono ben ancorati nella realtà marocchina, importante è stato il sostegno dell’autore Rachid O. (Cioccolata calda, Il bambino che resta), che ha vissuto per quasi trent’anni in Marocco, ed ha collaborato con Morel alla sceneggiatura. L’idea poi si è sviluppata intorno alla recente legge sul lavoro che in Francia stabilisce – in caso di delocalizzazione – una compensazione come indennizzo di disoccupazione oppure la possibilità di essere riassunti nella nuova sede ma con il contratto di lavoro e lo stipendio equiparato allo stipendio locale. Questa opzione costringe in effetti i lavoratori con famiglie da mantenere in Francia, a dimettersi. Per chi vive del proprio lavoro, e ne fa come Edith, la propria ragione di vivere, il licenziamento è più spaventoso di trasferirsi in un paese islamico dove le donne hanno ancor meno diritti che in patria.
La trasformazione di Edith – interviene elegante e sorridente Sandrine Bonnaire, è visibile con il procedere del film anche nel suo aspetto. Seppur in maniera semplice e mai sciatta, Edith in Francia indossava abiti scuri e accollati, con i capelli spenti e il volto trascurato, mentre in Marocco pian piano riscopre una fresca femminilità e una nuova luce. Questa trasformazione personale – ha sottolineato l’attrice – non avviene attraverso una storia d’amore o per piacere ad un uomo, come spesso accade nei film di metamorfosi femminile, ma si tratta di un percorso e una vittoria tutta personale. Nella ritrovata felicità e forza, Edith riscopre una rinnovata joie de vivre.
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