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Mektoub My Love

Mektoub, My Love: Canto Uno, impressioni e commenti sul film di Kechiche

La sinossi

Mektoub, My Love: Canto Uno è il nuovo film del regista franco-tunisino Abdellatif Kechiche, vincitore della Palma d’oro a Cannes nel 2013 con La vita di Adele (titolo originale Blue Is the Warmest Colour).

Come aveva detto il direttore artistico della Mostra del Cinema di Venezia Alberto Barbera già dal titolo ci possiamo facilmente immaginare che si tratti di un film che preannuncia l’arrivo di un seguito.

Il film vede come protagonista un giovane ragazzo, Amin, tornato a casa sua nel villaggio marittimo in cui è cresciuto per passare lì le vacanze. Lì ritrova amici e parenti che non vedeva da tempo e trascorre le giornate con loro, tra spiaggia, vita di paese e uscite serali all’insegna del divertimento. Egli ha abbandonato gli studi di medicina e sta scrivendo una sceneggiatura, per la quale spera di trovare un produttore a Parigi. Nel frattempo si gode il tempo libero per svagarsi con gli amici e fare fotografie.

Mektoub, My Love: Canto Uno, perché si – di Daniele Marseglia

Kechiche, fin dai suoi esordi da regista con Tutta colpa di Voltaire, è sempre stato chiaro e coerente con la sua idea di cinema. Può sembrare che il regista di origine tunisina non racconti nulla nei suoi lunghi film, che perda tempo con dialoghi che girano a vuoto e una sceneggiatura apparentemente scritta come un canovaccio. Niente di più falso. Nel cinema di Kechiche la storia c’è. Non te la ‘sbatte in faccia’ come altri, non te la rende chiara fin da subito. Kechiche ti ci porta proprio dentro a quella storia. Te la fa vivere con le emozioni, le insicurezze e i turbamenti dei suoi personaggi, quasi come se fosse un’esperienza di Virtual Reality senza l’Oculus Rift. Il regista di capolavori come Cous Cous e La vita di Adele è uno di quegli autori che nel narrare la storia si mette in disparte non prendendo mai il sopravvento e chiedendoti di entrarci dentro in punta di piedi per poi farti trascinare dagli eventi.

Mektoub, my loveQuanta verità c’è in Mektoub, My Love: Canto Uno?. La si percepisce in ogni singola inquadratura, così come nel volto del giovane Amin che, proprio come Kechiche, sta un passo indietro a tutti e a tutto alla ricerca, non a caso, di un qualcosa di vero da vivere. Perché no, lui non è uno spirito libertino come il cugino Toni. Amin vuole una storia da vivere e da costruire, meglio se con Ophelia, amica di infanzia per il quale prova da sempre una particolare attrazione. Non è un caso, quindi, che Amin cerchi il successo come sceneggiatore, una professione in cui la ricerca di una storia è fondamentale.

E quanta vità c’è in questo film? Un turbinio di emozioni, di sogni, di pulsioni, di desideri, di erotismo vissuti tutti nell’arco di un’estate, quella del 1994 in un paese sulla costa francese vicino a Marsiglia. Un’estate che cambierà forse per sempre la vita di Amin, alla ricerca di quell’Amore idealizzato tanto desiderato quanto sfuggente. Se poi di mezzo ci si mette il mektoub, il destino, allora diventa ancora tutto più complicato.

Tre ore di film. Tre ore di immersione totale dentro uno spaccato di realtà emotiva che più volte ti fa ripensare a quelle sensazioni provate dai protagonisti del film, come a dire “è successo anche a me” o “quello/a sono io”. Tre ore che filano via che è un piacere, desiderosi a fine film di averne altrettante per il Canto Due da Kechiche già girato e pronto per essere vissuto da tutti.

Mektoub, My Love: Canto Uno, perché no – di Bianca Friedman

Devo ammettere che personalmente apprezzo molto di più i film che (molto banalmente) raccontano una storia, alla quale si possano eventualmente applicare piani di lettura diversi in modo da comprendere più sfumature di significato. Prediligo i film che mi fanno provare un qualche tipo di emozione, positiva o negativa che sia, ma che non mi lascino indifferente. Ebbene, se Abdellatif Kechiche con il suo Mektoub, My Love: Canto Uno voleva raccontare qualcosa o far provare qualcosa, a me purtroppo non è giunto niente.

Dico purtroppo perché riconosco le buone capacità tecniche e registiche, riconosco l’abile gestione della macchina da presa che si muove con agilità attorno ai personaggi, inquadrandoli da prospettive diverse e giocando con gli effetti di luce e colori. Riconosco che sia interessante raccontare i personaggi lasciando loro modo e tempo di definirsi attraverso le espressioni, gli sguardi, il linguaggio del corpo.

Bello, sì. Ma per tre ore si può anche raccontare qualcosa.

Mektoub My LoveSarà una critica forse un po’ banale, ma raccontare la vacanza di giovani ragazzi nel loro paesino marittimo in cui giovani turiste (turisti uomini stranamente non pervenuti) vengono a passare qualche giorno per svagarsi mi sembra un po’ poco. Specialmente se le loro giornate sono tutte piuttosto uguali, tra spiaggia di giorno e locali la sera, tra racconti di vita e pettegolezzi. Trovo che sia un po’ pretenzioso aspettarsi che il pubblico evisceri dei messaggi da un racconto piatto come questo, in cui tra l’inizio e la fine vi è ben poca differenza. Se l’estetica di Kechiche in questo film ha delle grosse potenzialità, non credo che metta sufficientemente in risalto il contenuto. Se uno degli intenti principali era quello di creare un rapporto stretto (di antipatia o simpatia) con i personaggi attraverso le loro storie personali e sentimentali, beh – mi verrebbe da dire – questo dovrebbe essere in teoria il presupposto rimo di qualsiasi racconto, letterario o cinematografico che sia. Di certo, vedere per circa metà film inquadrature di durata variabile su curve femminili più o meno coperte, più o meno in movimento non mi ha certo aiutato a vederci qualcosa di più…

Colpa mia probabilmente, non so apprezzare i lunghi racconti delle routine altrui, anche se si tratta di una routine vacanziera. Non amo l’assenza completa di un picco narrativo o di significato. Sicuramente è un mio limite, ma non lo trovo emotivamente o intellettualmente interessante. Lo sconsiglio dunque a chiunque la pensi in questo modo, senza la pretesa di definirlo bello o brutto: semplicemente non è nelle mie corde.

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