È solo una questione di tempo. Il tempo che Louis, giovane drammaturgo, non ha quasi più davanti a sé perché condannato a morire. Il tempo che non ha avuto, per scelta personale, di passare insieme alla sua famiglia nel corso della vita e che ora decide di tornare a trovare per comunicargli la drammatica notizia. È solo la fine del mondo segna il sesto film da regista del giovane talento Xavier Dolan prima di imbarcarsi nel primo film a stelle e strisce della sua carriera.
Una famiglia disfunzionale
Sono passati dodici anni da quando Louis ha visto per l’ultima volta madre, fratello e sorella. Non c’è da biasimarlo: ognuno dei componenti della famiglia ha un carattere particolare e fastidioso. La madre (Nathalie Baye) è troppo piena di sé e impreparata al ritorno del figlio; la sorella (Lea Seydoux) è cresciuta senza avere un’idea precisa del fratello perché troppo piccola per ricordarselo; il fratello Antoine (Vincent Cassell) soffre del complesso di inferiorità sviluppato da adolescente quando le attenzioni della famiglia erano tutte rivolte al fratello minore.
Impossibilità di comunicare
C’è un gran caos nella famiglia di Louis. Tutti si parlano sopra, vomitano sentenze, urlano, si litigano l’uno con l’altro. Louis non trova così il modo di poter dare la terribile notizia alla famiglia perché ognuno impegnato a dire la propria. Forse, vedendo la situazione da vicino, Louis, man mano che il tempo passa, non ha più la volontà di condividere quello a cui sta per andare incontro con i componenti della famiglia. Louis, per loro, è già morto dodici anni prima. Sono vani i tentativi di capire il motivo del ritorno perché in fondo a nessuno interessa particolarmente.
L’umanità della cognata
L’unico barlume di umanità è rappresentato da Catherine (Marion Cotillard), la moglie del fratello. Sembra che sia l’unica ad aver capito che Louis nasconde un segreto terrificante. L’unica che cerca un dialogo fatto di comprensione con il figliol prodigo e che sembra voler gridare “aiuto” per rompere il legame col marito nevrotico e arrogante.
È solo la fine del mondo: un mero esercizio di stile
Di dialoghi, di parole, di frasi ce ne sono un’infinità nel film di Dolan, adattato al grande schermo da una pièce teatrale di Jean-Luc Lagarce. Sbaglia chi dice che c’è più teatro che cinema in questa pellicola nonostante l’ambientazione sia più o meno sempre la stessa e le scene, in un’ora e mezzo di film, si contano sulle dita di due mani. È un cinema che però Dolan questa volta fa troppo suo. Vuole scaraventarci in faccia un turbino di emozioni, che siano dialoghi incessanti o canzoni pop sparate a tutto volume o, ancora, flashback di stampo poetico, ma finisce soltanto a svolgere un mero esercizio di stile.
Personaggi fastidiosi e irritanti
È difficile provare empatia per dei personaggi così irritanti, in particolare per quello interpretato da Vincent Cassel. Il personaggio sfiora la ridicolezza se pensiamo al suo modo di fare ad oltre di cinquant’anni di età. Della madre, poi, non si capisce bene se sia più interessata al ritorno del figlio o a preparare un buon dessert. E Marion Cotillard, con la faccia perennemente in sofferenza, non eccelle come al suo solito.
Piccolo stop per Dolan
Dolan è uno che ci sa fare e lo ha dimostrato nei precedenti lavori. Mommy, il migliore, è stato il film che ha segnato il definitivo salto nella maturità cinematografica da parte del talento canadese. È solo la fine del mondo rappresenta invece un piccolo e quasi impercettibile stop. Più coraggio e meno ansia nel trasmettere la bravura perché sappiamo che Dolan bravo lo è.
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È solo la fine del mondo
Valutazione globale
Poco più di un esercizio di stile
Sono più o meno d’accordo, ma questa recensione sembra scritta da uno che ha imparato l’italiano da sei mesi.