Sono pochissimi i film che riescono a imprimersi a fuoco nell’immaginario collettivo, al punto da diventare ben più di una mera rappresentazione, di un semplice racconto. Si tratta di opere dalla portata epocale. Sono trascorsi quarant’anni dall’uscita nelle sale di Apocalypse Now, il film di Francis Ford Coppola che più di tutti ha influenzato l’immaginario collettivo bellico di spettatori di ogni età. Un film che è stato capace di farsi realtà, diventando esso stesso sinonimo di Vietnam e di molto altro ancora.
Francis Ford Coppola e la New Hollywood
Il fermento culturale che deflagrò nel mondo occidentale con il ‘68 ebbe profonde ripercussioni anche nella settima arte. La seconda metà degli anni ’60 coincise con l’affermazione di una serie di registi che, in misura diversa, incarnarono lo spirito di contestazione: nasceva la New Hollywood. I primi autori ruppero con la consueta poetica delle major hollywoodiane, facendo a pezzi il mito americano e portando in scena forme esplicite di sesso, violenza ed alienazione. Esaltavano personalità deviate, emarginate o in crisi esistenziale; narravano di ingiustizie sociali; sovvertivano, infine, gli stilemi delle narrazioni classiche, improntate al maggior grado possibile di chiarezza e trasparenza nei confronti dello spettatore. È qui che collochiamo Mike Nichols, con Il laureato (1968); Dennis Hopper, con Easy rider (1969); Robert Altman, con M.A.S.H. (1969).
Altri autori, dal canto loro, tentarono invece una più proficua mediazione tra le istanze di rottura dei colleghi ed un opportunistico dialogo con le major, dalle quali provenivano i più ricchi contratti. Si inseriscono qui i vari Scorsese, con Taxi driver (1976); Michael Cimino con Il cacciatore (1978); e poi De Palma, Terrence Malick, George Lucas, Woody Allen e, naturalmente, Francis Ford Coppola.
I dati (e le difficoltà) del miglior fallimento della storia
Apocalypse Now fu segnato sin dall’inizio di enormi problemi di produzione. Innanzitutto a causa delle locations, per lo più situate nelle lontane Filippine. Le distanze tra i set (distrutti nel 1976 da un tifone), così come la loro imponenza, rappresentarono talvolta un ostacolo proibitivo per la gigantesca macchina produttiva messa in piedi da Coppola. Nemmeno il cast fu semplice da gestire, funestato dalle ubriacature di Martin Sheen, dall’ingombrante personalità di Dennis Hopper e dai problemi di peso di Marlon Brando. Sì, perché le riprese si protrassero per circa un anno e mezzo, a fronte dei due mesi previsti inizialmente. Anche il budget diede più di un grattacapo a Coppola: si passò da poco più di 10 milioni di dollari fino ai 30 finali, e ciò comportò anche il fallimento della Zoetrope, la casa di produzione di proprietà del regista.
In un certo senso, Coppola non si riprese mai veramente del tutto, visto che da quel momento in avanti ebbe sempre gravi problemi di finanziamento anche per le sue opere successive, avendo confermato con Apocalypse Now la funesta fama di artista estremamente costoso ed incapace di rispettare i tempi di lavorazione. Ma il tempo, come si sa, è galantuomo. In totale il film incassò oltre 150 milioni di dollari, e tra i numerosissimi premi che Apocalypse Now si assicurò, basterà citare la Palma d’Oro a Francis Ford Coppola nel 1979, e l’Oscar alla migliore fotografia nel 1980 a Vittorio Storaro (il quale, in seguito, dichiarerà le iniziali titubanze nel prendere parte al progetto).
Dalla letteratura alla metafisica
Per Apocalypse Now Francis Ford Coppola trasse ispirazione dal celebre romanzo di Joseph Conrad Cuore di Tenebra. Il libro diventò un’ossessione per il regista, che dalla pre-produzione fino all’ultimo giorno di riprese non se ne separò mai, annotandovi continuamente osservazioni e spunti sullo sviluppo della storia e dei personaggi. Coppola riadattò molto del materiale proveniente dal romanzo, attualizzando il messaggio conradiano alla sua epoca. Così la risalita del fiume Congo lasciò il posto all’ambientazione vietnamita, emblema di una contemporaneità intrisa delle tensioni della Guerra Fredda e di un mondo sempre sull’orlo del caos e dell’irrazionalità. La guerra lontana, per gli statunitensi e per il mondo occidentale tutto, significò confronto con culture diverse; critica antimilitarista ed anti-imperialista; orrore e sofferenza.
Tutto questo, in Apocalypse Now, si sostanziava in uno scontro dai toni epici. Da un lato Martin Sheen nei panni del capitano Willard: tipico personaggio da New Hollywood, egli incarnava una certa razionalità non priva di sbandamenti (alcolici e non), il desiderio (iniziale) di conformarsi a delle regole militari, una buona dose di patriottismo ed uno sconfinato cinismo. Dall’altro il colonnello Kurtz, interpretato da Marlon Brando: oscurità, irrazionalità, follia psicotica e diserzione sono solo alcuni degli elementi che delineano un personaggio enigmatico e magnetico.
L’opera paradigmatica di Coppola prendeva le mosse dalla quotidianità, ma, come ogni opera in odor di capolavoro, bucava lo schermo per colpire direttamente l’animo dello spettatore così come quello del mondo al quale egli apparteneva, scavando nel ventre molle di una Cultura messa duramente alla prova su un teatro di guerra. L’opera di Coppola fu il perfetto compendio di un nuovo modo di fare cinema: quello della Nuova Hollywood, la corrente che seppe ricordare al mondo occidentale la sue ferite più profonde, e le sue zone d’ombra più recondite. Fino ad arrivare alle soglie del mistero di un uomo che, da colonnello, pareva farsi dio.
Iconico Vietnam
Tante, troppe forse, sono le scene ed i fotogrammi che oggi, dopo quarant’anni, sono entrati di diritto nell’olimpo delle icone della settima arte. A cominciare dalla famosissima frase pronunciata dal tenente colonnello Kilgore «Mi piace l’odore del napalm al mattino», mentre, sulle note della Cavalcata delle Valchirie di Wagner, si esibisce insieme con i suoi soldati su un insolito surf mentre tutt’intorno sibilano le pallottole. Follia, cinismo, pericolo, grotteschi scambi di battute: tutto riesce a coesistere in pochissimi fotogrammi di pellicola. Oppure gli svariati monologhi del colonnello Kurtz, del quale Coppola si serve per rappresentare un’asprissima critica al modello americano nel suo complesso, reo di ipocrisia («Noi addestriamo dei giovani a scaricare napalm sulla gente, ma i loro comandanti non gli permettono di scrivere “cazzo” sui loro aerei perché è osceno»).
Infine l’indimenticabile, indissolubile connubio stabilitosi tra la pellicola e il brano The end dei Doors, ad accompagnare le sequenze d’apertura e una delle scene conclusive del film, quando l’«orrore» citato da Kurtz sembra emergere dalle viscere della terra. Tutto, in Apocalypse Now, pare perfettamente congegnato e costruito, all’interno di un’opera che oggi, a distanza di quarant’anni, è realmente diventata “Il” Vietnam.
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