Il 13 dicembre è uscito nelle sale Macchine mortali, trasposizione cinematografica dell’omonimo romanzo del 2001 scritto dall’autore britannico Philip Reeve, diretto da Christian Rivers, prodotto da Peter Jackson.
Macchine Mortali: la trama
In seguito alla cosiddetta Guerra dei Sessanta Minuti, che ha distrutto la Terra e il genere umano quasi completamente, la maggior parte delle città ha deciso di adottare una filosofia “trazionista”, decidendo di diventare itineranti in un mondo desolato. Londra è di certo la predatrice per eccellenza, che decide di ampliare il suo terreno di caccia delle piccole città in Europa. Qui abita Tom (Robert Sheehan) orfano e impiegato presso il Museo di Londra, che vede la propria vita cambiare il giorno in cui Hester Shaw (Hera Hilmar) giunge nella città con una missione, uccidere il capo storico Taddeus Valentine (Hugo Weaving). Esiliati nel mondo esterno, i due ragazzi si muoveranno nel territorio ostile, muovendosi di città in città fino a raggiungere la Grande Muraglia Cinese, sede della Lega Anti-trazionista.
Macchine mortali: le nostre impressioni
Macchine Mortali è un film che nel complesso rispetta la trama originale, che viene trasposta fedelmente e con passaggi globalmente chiari. Tuttavia, manca di carica emotiva, limitandosi a riportare con lucida freddezza la realtà steampunk di una Londra su cingolati che si muove in un mondo desolato, privo di ironia e sentimento, alla pari della sceneggiatura che non brilla.
La base su cui hanno potuto lavorare Rivers e i produttori è di certo un solido summa di elementi vincenti: un mondo post-apocalittico, una società itinerante in lotta con una stazionaria, un’atmosfera steampunk sporca e fuligginosa in basso, e una suntuosa e più leggera su, più vicina al cielo. Eroi che lo diventano per caso, una fiera eroina sfregiata dal passato doloroso e dall’infanzia peculiare, cresciuta da un uomo disumanizzato alla Terminator. Insomma, tutto era a favore di questo Macchine mortali, che tuttavia è stato eseguito egregiamente e nei minimi dettagli, ma con una freddezza eccessiva, che lascia perplessi a caldo, ma che si percepisce come eccessivo distacco in seguito.
L’ambientazione steampunk, un elemento che può rappresentare un punto di forza, è in Macchine mortali fin troppo ripulita, quasi “rileccata” senza quel tocco di disumano e umano allo stesso tempo, troppo poco sporca e oscura (il paragone con un esempio degno come Altered Carbon, emblema steampunk targato Netflix non può che saltar fuori naturalmente). Allo stesso tempo però lo steampunk è accostato a un ritorno al vecchio istinto colonizzatore britannico, che in questo mondo post-apocalittico si traduce con una massima di predazione: solo chi riesce a “fagocitare” più città sopravvive. Questa desolazione, questo metallo così curato, temuto e allo stesso tempo accudito come un bambino sembra troppo “pulito”, poco credibile. Va comunque riconosciuta la cura del dettaglio versata in Macchine mortali, forse più adatta a una produzione più perbene e meno futuristica.
Insieme a questa mancanza di credibilità nella scenografia, c’è da segnalare una sceneggiatura che di per sé non ha niente che non funzioni a livello tecnico, ma che manca di carica umana e che non è in grado di caratterizzare i personaggi, la cui storia è più complessa di quello che viene fatto vedere in Macchine mortali. Basti pensare a Tom, la cui storia viene riassunta in due battute a malapena, “volevo fare l’aviatore ma poi sono morti i miei genitori”, “i miei genitori sono morti nel grande disastro del crollo del livello quattro”, quando in realtà ci sarebbe molto più da approfondire. Lo stesso capita a un altro grande personaggio, forse il migliore tra tutti quelli di Macchine mortali, colui che risulta più mano sebbene sia un cyborg, Shrike. La sua storia, ricca di dettagli interessanti, non riceve il giusto spazio, risultando solo come un ulteriore carico al filone action di Macchine mortali. Tutto viene messo da parte da un’eccessiva dose di azione, a discapito dell’originalità, e il tentativo di rassomigliare a un classico come Star Wars non funziona a causa della completa mancanza di ironia o momenti di evasione nella narrazione.
Tutto procede ad un ritmo frenetico, senza sosta, senza respiro, passando da un inizio molto pacato per arrivare da 0 a 6 secondi alla cattura di una città, un tentato omicidio, un tradimento, la fuga, città d’ogni genere, rivelazioni di un passato oscuro, fino alla grande battaglia (ahimè non completamente rispettata nella sua trasposizione rispetto allo spettacolare affresco fatto da Reeve nel romanzo). Anche nella sceneggiatura non c’è tregua, non c’è un momento più leggero, e a lungo raggio si sente, specie in un film dalla lunga durata come Macchine mortali. Inoltre, tra gli attori non c’è un grande feeling, tanto da far dubitare sul serio la credibilità di una storia d’amore che non si sa bene che fine farà e che ha come immagine finale un abbraccio volante con tanto di piroetta finale, molto teen drama, molto young adult.
Macchine Mortali
valutazione globale - 5.5
5.5
Uno steampunk eccessivamente patinato
Macchine mortali: un giudizio in sintesi
Dire che Macchine mortali è un film che ha delle grosse pecche nel complesso sarebbe inesatto, vista la cura al minimo dettaglio data alla fotografia, agli effetti speciali, nella trasposizione degli eventi del romanzo. Tuttavia globalmente si percepisce che c’è qualcosa che non va, che non convince, dall’aspetto troppo pulito per un’ambientazione steampunk fino ad una sceneggiatura che sembra essere un compitino fatto ad hoc. Peccato, visto l’ottimo materiale di partenza.
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