La storia di Lion, ispirata ad una vicenda di vita vissuta, è nota dalla notte dei tempi tanto che la fiaba di Pollicino potrebbe essere tacciata di spoileraggio.
Un delizioso bambino indiano di circa 5 anni sale involontariamente su un treno che lo porta lontano anni luce dal suo misero villaggio e dalla sua amatissima famiglia. E si perde, forse per sempre. Adottato da una coppia australiana, cresce forte e sano, supportando la locale squadra di cricket. E’ solo poco prima di diventare adulto che sente gridare, con forza dentro di sé, l’urlo disperato della sua mamma biologica, in una lingua ormai sconosciuta.
Come ritrovarla? Lo sforzo del ricordo denso di malinconia, la determinazione e il coraggio del giovane troveranno un valido supporto tecnologico nell’applicazione Earth di Google. Fino al lieto epilogo.
Lion e le tante lacrime
Si inizia a piangere a dieci minuti dall’inizio di Lion, seguendo le disperate vicende del piccolo Saroo, sperso, solo, indifeso tra i mille orridi tentacoli di Calcutta; si continua in maniera convulsa al primo snodo della trama, assistendo alla tenera e commossa accoglienza della matura coppia di coniugi australiani; e ancora sui toccanti primi piani della Kidman (la madre adottiva); non si hanno più occhi per piangere e fazzoletti da utilizzare sull’abbraccio finale tra il piccolo Saroo, diventato uomo, e la ormai anziana madre indiana.
Che poi la commozione dello spettatore possa essere considerata come valido metro di giudizio della “bellezza” del film mi lascia perlomeno interdetta. Casualmente, sul mio stesso fronte trovo un apprezzato alleato in Jonathan Safran Foer di cui riporto una breve citazione tratta dal suo recente best seller Eccomi, allo scopo di dare consistenza ad una riflessione tutta personale
“Tutti si erano commossi e tutti si erano convinti che commuoversi fosse la suprema esperienza estetica, etica e intellettuale “
Lion, quali sono i meriti
Lion è un film che tiene incollati alla poltrona, con un fazzolettino di carta in mano da cambiare spesso. Sunny Pawar, l’interprete del piccolo Saroo, è di un’intensità surreale per un bambino così piccolo, capace di reggere da solo tutta la prima mezz’ora di film, con i suoi primi piani che strappano l’anima, i suoi occhi scuri che piantano un coltello nella coscienza di ognuno e i suoi piccoli, rari, delicati sorrisi che altro non fanno che aumentare il pathos della disperazione. Nicole Kidman è immensa, capace, non so come, di abbandonare il botox sui red carpet di tutto il mondo e indossare l’onestà delle sue origini di donnona australiana dai riccioli rossi. Dev Patel che interpreta Saroo adulto è davvero molto bello con lunghi boccoli scuri, una barba folta e virile e un sorriso tenero e delicato. Tutti gli altri personaggi minori hanno belle facce e primi piani intensi tranne, forse, l’opaca fidanzata australiana di Saroo interpretata da Rooney Mara.
Ma Lion è anche un film furbo
Lion è un film che invita alla riflessione sulla mai sconfitta disperazione dei piccoli di tutto il mondo abbandonati a loro stessi e sulla necessità di ritrovare le proprie radici prima di diventare adulti. Ma soprattutto, invita alla riflessione sui significati dell’adozione (la madre adottiva di Saroo è tale non perché non possa avere figli ma perché ha avuto una visione da giovane e perché ha pensato che ci fossero già troppe persone nel mondo) e sui suoi incerti risvolti (la coppia australiana adotta un secondo figlio dopo Saroo con esiti difficili e dolorosi).
L’ho trovato, alla fine, stucchevole, furbo nel far leva su emozioni facili e sensi di colpa occidentali. Resta un po’ quel gusto amaro di quando si guarda uno spot alla televisione, con l’ennesimo povero bambino africano ricoperto di mosche e con il ventre gonfio che sta morendo di fame e che ti chiede di versare una somma ad una associazione europea affinché lui possa sopravvivere.
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Lion
Valutazione globale
Film di lacrime da versare, in intensi primi piani e di trame già raccontate
Si, sicuramente hai ragione per quanto riguarda il fatto che sia un film confezionato in modo furbo per provocare determinate emozioni, ma l’ho trovato comunque fatto abbastanza bene, con una bella fotografia e con un ritmo che rende la visione piacevole. Certo, gioca facile con la fotografia dei paesaggi e della società indiana, ma è un film che si guarda volentieri, sempre di non essere troppo presi dall’emozione (che comunque suscita) 🙂