La frase iniziale lo dice esplicitamente. Quello che stiamo per vedere è ispirato liberamente ad una storia vera. Molto liberamente. Un modo per avvisare che chi ha ideato la serie, Kay Cannon, si è concessa qualche libertà in più rispetto all’autobiografia omonima di Sophia Amoruso da cui è tratta Girlboss, nuova serie Netflix in 13 episodi che ha debuttato sul servizio on demand il 21 aprile e che vede tra i produttori esecutivi nientemeno che Charlize Theron.
La trama di Girlboss
Sophia a 23 anni e vive da sola, con non poche difficoltà, in un modesto appartamento di San Francisco. Inquieta e insofferente come tutti i giovani della sua età, cambia lavoro continuamente perché incapace di sottostare alle regole basilari di comportamento. Ad esempio, nel pilot la vediamo farsi gli affari suoi nel negozio di scarpe dove lavora ed essere immediatamente licenziata dalla responsabile. Non accetta neanche l’aiuto economico del padre. Insomma, la sua vita può sbandare da un momento all’altro quando, un po’ per passare il tempo, un po’ per noia e un po’ casualmente, ha l’intuito di mettere all’asta su eBay una giacca trovata in un negozio di abbigliamento usato dal valore molto alto. È questa la sua vera passione: la moda vintage. Perché non sfruttarla al meglio per farla diventare una professione economicamente retribuita?
La serie comincia dall’anno zero di Sophia Amoruso, il 2006. Passati oltre 10 anni le vicende reali della girlboss sono note a tutti gli esperti o appassionati di moda, con un negozio eBay e, successivamente, un sito internet di e-commerce (Nasty Girl) che fatturavano decine di milioni di dollari l’anno. Nel 2016, prima di dichiarare bancarotta, ha fatto in tempo ad essere nominata self-made-woman. In poco tempo il suo marchio è diventato un brand di successo in tutti gli Stati Uniti e la Amoruso ha cominciato a scalare le classifiche della rivista Forbes come una delle donne più ricche del mondo.
Un personaggio narrativamente interessante
Il pilot di Girlboss si concentra in maniera esclusiva sul personaggio di Sophia che, al di là della fortunata carriera da imprenditrice, rivela un carattere narrativamente interessante. Ribelle e fuori dagli schemi ma non per questo svampita o poco intelligente, Sophia si trova in quel periodo della vita (23 anni) dove si prende coscienza di essere diventati a tutti gli effetti delle persone adulte e l’età adulta, come ripete più volte nel corso del primo episodio, “è il capolinea dei sogni”. Si accorgerà presto che ciò che dice non corrisponderà alla realtà dei fatti. Per lei, infatti, si preannuncia una svolta epocale. Niente più annunci di sfratto, niente più ricerca di un lavoro fisso. Conciliare il lavoro con la propria passione sarà per lei una piacevole realtà.
A dare maggiore credibilità al carattere di Sophia c’è una brava e per ora convincente Britt Robertson, già vista in Under the Dome. Se togliamo la buona caratterizzazione data al personaggio principale, Girlboss, su altri versanti, non presenta nessuna novità in particolare. È un prodotto che piacerà sicuramente ad un pubblico giovane e prevalentemente femminile (se anche femminista meglio ancora) che Netflix cerca di attirare a sé e che potrebbe trovare tra gli orfani della da poco conclusa Girls. Una serie che non offre particolari spunti per continuarla a vedere in modalità bingewatching ma che potrebbe riservare, con il proseguo degli episodi, delle piacevoli sorprese.
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Valutazione globale
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