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Escape at Dannemora Sky

Escape at Dannemora: recensione della miniserie diretta da Ben Stiller con Benicio Del Toro e Paul Dano

Escape at Dannemora è una miniserie trasmessa da Sky Atlantic dal 4 dicembre 2018 al 15 gennaio 2019. Ideata da Michael Tolkin e Brett Johnson, e con Ben Stiller alla regia, Escape at Dannemora vanta un cast di prim’ordine: Benicio del Toro, Paul Dano e Patricia Arquette, che grazie alla sua interpretazione ha conquistato il Golden Globe per la migliore attrice in una in una mini-serie o film per la televisione.

Escape at Dannemora: la trama

Paul Dano e Benicio Del Toro

All’interno di un carcere di massima sicurezza sono reclusi Richard Matt (del Toro) e David Sweat (Dano), che lavorano all’interno della sartoria del carcere. Il primo è un vero e proprio signorotto del penitenziario, rispettato dai secondini e temuto dagli altri detenuti. Il suo collega, Sweat, intrattiene una relazione con la direttrice della sartoria, Tilly Mitchell (Arquette), a sua volta sposata con una guardia carceraria. La brama di libertà porterà Matt e Sweat ad elaborare un piano di evasione.

Escape at Dannemora: le nostre impressioni

Sono tanti i fattori che fanno di Escape at Dannemora un prodotto ben riuscito. C’è la sceneggiatura solida, compatta e senza fronzoli del duo Tolkin/Johnson; c’è la sorprendete regia di Ben Stiller, che si dimostra a suo agio nel maneggiare con destrezza tutti gli stilemi del thriller e dell’azione; c’è un cast affiatato e sempre in parte in ogni sua componente.

Paul Dano e Benicio Del Toro

La scrittura di Tolkin e Johnson conferisce ad un evento realmente accaduto – la fuga dei protagonisti dal Clinton Correctional Facility, risalente al 2015 – tutti i crismi del dramma. All’interno di un unico flashback, che conferisce andamento circolare alla narrazione, si annidano le riflessioni dei protagonisti, l’anelito verso la libertà, l’attenta descrizione della vita carceraria nei suoi aspetti più minuti e concreti (una scelta, questa, che ricorda certi stilemi dell’Audiard de Il profeta).

Una serie di brevi ma significativi squarci, che gettano luce sul carattere dei personaggi, costituisce l’intelaiatura principale della prima parte della serie. Il Richard Matt di del Toro è magnetico: duro, carismatico, rispettato e temuto, a suo modo un gentleman. Dano dà invece vita a Sweat: metodico, razionale, determinato. Infine Tilly, alla quale la Arquette dona le sembianze di una donna ormai trasandata e sottilmente disperata, perciò alla ricerca di un briciolo d’attenzione, determinata a trovare una sua ragion d’essere. Punto centrale – e comune – di questo triangolo emotivo è la spregiudicatezza, il manifesto intento strumentale con cui tutto, all’interno del carcere, viene utilizzato per altri scopi, che siano quelli della semplice comunicazione come della fuga. Il sentimento non alberga dietro le sbarre, il sesso non è che finto amore, malcelata merce di scambio per corpi disperati o imprigionati.

La sorprendente regia di Ben Stiller è tra le note più liete ed inaspettate di Escape at Dannemora. Il suo è uno sguardo maturo, prettamente drammatico. Il regista dimostra di saper comporre il quadro non solo con la precisione di chi ha fatto propria la grammatica cinematografica, ma anche con una semantica mai banale. Stiller utilizza perfettamente la macchina da presa, che si tratti di ralenti, di zoomate e primissimi piani, passando con disinvoltura dalle esigenze del dramma a quelle dell’azione, con sequenze dal ritmo vertiginoso e (simil) piani-sequenza concitati.

Nulla, nel microcosmo di Escape at Dannemora, sarebbe però possibile senza la buona prova degli attori protagonisti. Non tanto di Paul Dano, che a tratti mostra una mimica algida non sempre in linea col personaggio (ma che, nel complesso, comunque convince). Sono piuttosto Benicio del Toro e Patricia Arquette a sostenere gran parte dell’opera. Alla magnetica personalità ed espressività del primo, corrisponde un’incredibile profondità e problematicità della seconda. Senza trucco, terribilmente ingrassata ed “imbruttita”, la Arquette restituisce il tormento e le turbe di una donna che, sebbene sia sovente spregevole, riesce comunque ad ammaliare lo sguardo. Ad indurre una perversa immedesimazione con un semplice movimento delle labbra. Tra l’orrida inerzia della routine quotidiana, il sogno di un nuovo inizio e lo struggimento femminile dato da un tempo che avanza inesorabile, il suo personaggio è chiamato ad incarnare un coacervo di dolorose emozioni e malefici “vizi” dalle radici molto profonde.

Patricia Arquette

La confezione di Escape at Dannemora è adeguata al tono complessivo della serie. La tonalità dei colori rimane sempre fedele alla complessiva oscurità delle scene, resa perfetta del clima claustrofobico del penitenziario. Un parziale innesto di colori e campi più lunghi si lasciano apprezzare nei momenti successivi alla fuga, quando i personaggi si muovono – non senza difficoltà – nei boschi del Vermont.

Escape at Dannemora

Valutazione globale - 6.5

6.5

Convincente la regia di Ben Stiller, con una Arquette in stato di grazia

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Escape at Dannemora: giudizio in sintesi

Benicio Del Toro

La sceneggiatura di Escape at Dannemora, firmata da Tolkin e Johnson, si concentra su tematiche non certo innovative (il desiderio di libertà, la minuziosa descrizione della vita carceraria), ma narrate con puntuale spirito drammatico. I punti cardine della serie restano le personalità dei tre protagonisti: il magnetico Richard Matt, interpretato da un Benicio del Toro in gran forma; il pragmatico Sweat, cui presta il volto il meno convincente Paul Dano; infine Tilly, personaggio spregevole eppur affascinante, interpretato da una Patricia Arquette in stato di grazia. Sorprende la regia di Ben Stiller, qui alle prese con un dramma lontano anni luce dagli stilemi ricorrenti nelle sue opere, tanto da attore quanto da regista. Alla prova del nove, Stiller dimostra un gran senso scenico, offrendo una semantica efficace all’interno di parecchie inquadrature. La fotografia, sempre virata su tonalità cupe e claustrofobiche, ben si accorda con la vita carceraria, e mostra qualche sprazzo di indubbio fascino estetico (carrellate, campi lunghi, colori vivaci) allorché la vicenda si dipana all’esterno del carcere.

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About Vito Piazza

Tutto inizia con Jurassic Park, e il sogno di un bambino di voler "fare i film", senza sapere nemmeno cosa significasse. Col tempo la passione diventa patologica, colpa prevalentemente di Kubrick, Lynch, Haneke, Von Trier e decine di altri. E con la consapevolezza incrollabile che, come diceva il maestro: "Se può essere scritto, o pensato, può essere filmato".

One comment

  1. Ottima la recensione.

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