È uscito ieri nelle sale italiane l’ultimo film di Steven Soderbergh, Unsane, presentato fuori concorso all’ultimo Festival di Berlino.
Unsane: sinossi
Sawyer Valentini (Claire Foy) è una giovane e promettente professionista che ha appena lasciato Boston per trasferirsi in Pennsylvania. La sua ascesa professionale, tuttavia, è accompagnata da alcuni disturbi che non le consentono di avere una vita sentimentale tranquilla, e che l’hanno spinta ad allontanarsi persino dalla sua famiglia. Un vecchio trauma? Un’ossessione? O solo la sua immaginazione? Sawyer decide di consultare una psichiatra, ma nel giro di pochi minuti si ritrova – del tutto involontariamente – prigioniera di una struttura sanitaria: nessuno può tirarla fuori, e nessuno sembra disposto a crederle quando il suo tormento si materializza di fronte a lei.
Unsane: le nostre impressioni
Steven Soderbergh approda al thriller con un film a suo modo innovativo. Sebbene trama e sviluppo ricalchino stilemi e situazioni di genere già viste, è certamente nella realizzazione che Unsane si rivela innovativo, essendo girato interamente con un iPhone 7. Questo ha permesso al regista statunitense di abbattere i costi di produzione ed i tempi di realizzazione.
Come detto, l’idea di un film minimalista, costruito attorno a pochissimi personaggi (in questo caso sostanzialmente uno, la protagonista) e ambientato in un numero esiguo di ambientazioni non è certo nuova. Ma Soderbergh coglie lo spirito dei tempi e assegna a Claire Foy il ruolo di vittima di uno stalker, che la malcapitata Sawyer vede ed avverte ovunque, immenso macigno sulla strada della sua liberazione. Il personaggio di Sawyer è costruito mirabilmente nel giro di una manciata di scene sciorinate nei primissimi minuti: forte, irreprensibile, sicura ed incorruttibile sul lavoro, tanto quanto fragile, insicura e sull’orlo dell’abisso psichico nella vita privata. La lacerazione è evidente, e il mezzo cinematografico – un iPhone, in questo caso – è perfetta metafora della contemporaneità: liquida, direbbe Zygmunt Bauman, e come tale capace di irrorare, infiltrarsi nelle crepe quotidiane di una protagonista instabile e preoccupata, ansiosa, agitata come le riprese che Soderbergh realizza con uno stile, a tratti, quasi amatoriale.
Unsane ha il pregio di intessere una trama che, nella sua semplicità, intriga lo spettatore pur senza strafare. Siamo esterrefatti nell’assistere alla banale, e per questo ancor più allarmante, facilità con la quale Sawyer si ritrova imprigionata in una clinica psichiatrica, senza alcuna possibilità di uscirne; e siamo ancor più colpiti ed increduli nel trovare proprio lì, in quel claustrofobico immobilismo, l’origine dei mali della protagonista, ripresa per di più in primissimo piano: il volto immobile, (quasi) innocente, impietoso e disturbante dello stalker, mentre la giovane ragazza si dispera impotente. Siamo quindi adescati e trascinati con astuzia da Soderbergh, che ci conduce presto in un mondo nel quale l’instabilità e la fuga dal pericolo della protagonista sono diventati normali e necessari meccanismi di sopravvivenza.
Svelato il meccanismo primo che gli dà vita, purtroppo il film perde la presa emotiva delle fasi iniziali, cominciando a vagare tra alcuni topoi tipici del genere thriller che convincono assai poco. Primo fra tutti la presenza di una serie di co-protagonisti, presunti matti, che si alternano nel ruolo di adiuvanti o avversari della protagonista, e che non permettono mai alla trama di riguadagnare lo slancio iniziale. In secondo luogo, la presenza del persecutore nella stessa struttura nella quale è rinchiusa la giovane protagonista. Stando al patto “realista” che Soderbergh sembra voler stringere col suo pubblico, questo fatto risulterà difficilmente credibile, se non addirittura improbabile fino ai limiti del genere fantascientifico, come avremo modo di capire nel corso della storia. Infine, lo stalker di Sawyer. Un personaggio la cui serafica e lucida follia mal si concilia con il modo goffo e beffardo (a tratti comico, nella sua semplicità) attraverso il quale la giovane vittima riesce temporaneamente a sfuggirgli rinchiudendolo in una cella d’isolamento: un maniaco, questo, che sicuramente avrebbe potuto essere trattato meglio in fase di scrittura.
Nel trasmettere l’insicurezza ed il timore di una giovane donna alle prese con un maniaco, Unsane può dirsi un’opera riuscita, merito anche di una Clare Foy che si conferma un’attrice molto promettente. La continua oscillazione tra lucidità e folla, tra immaginazione e complotto comune ai danni di un ignaro protagonista, richiama tutta la poetica di Polański, che probabilmente fa sentire i propri influssi anche sulla scelta di un film minimalista e con un numero esiguo di personaggi. La scelta di utilizzare un mezzo come l’iPhone, inoltre, conferisce maggior credibilità ad una storia prettamente realistica e contemporanea. Soderbergh, da professionista qual è, coniuga alla perfezione forma e sostanza, formato e storia, attingendo (seppur con modalità e scopi molto diversi) al connubio tra significante e significato del Mommy di Dolan.
Unsane
valutazione globale - 6
6
Un approdo al thriller convincente a metà
Unsane: un giudizio in sintesi
Il primo thriller di Soderbergh, Unsane, è un tentativo riuscito a metà. Ottimo nella prima parte, quando immerge lo spettatore nel mondo di una giovane professionista vittima di stalking: le riprese, interamente realizzate con un iPhone, restituiscono la precarietà, la preoccupazione e i timori di una ragazza costretta alla fuga dall’incubo. Dove Unsane fallisce è altrove, anzitutto nel non riuscire a mantenere alta la tensione nella seconda parte della storia. Ma soprattutto, a nostro avviso, nella violazione del patto implicito stabilito con lo spettatore, che trova in alcuni dettagli della trama degli sviluppi difficilmente conciliabili con l’intento programmatico all’insegna del realismo. Ma tutto sommato il contributo di Soderbergh, alle prese con un soggetto già visto e rivisitato e che non consentiva grosse possibilità espressive o tecniche, è convincente.
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