Attenzione: la seguente recensione contiene diversi spoiler sul finale di Westworld
Siamo così arrivati alla conclusione della prima stagione di Westworld e che stagione, imprevedibile, potente, sconvolgente, ci ha lasciato senza fiato, ci ha stupiti di continuo e ci ha lanciato mille ami per farci pensare, costruendo una successione di metafore che richiedevano molta attenzione ma davano grandissima soddisfazione, alla fine.
Westworld, dell’androide e dell’uomo
Come è giusto catalogare Westworld? Innanzitutto è molto difficile. Perché lo show ci parla indubbiamente di un fantascentifico futuro nel quale l’uomo costruisce macchine assolutamente simili a se stesso per il suo stesso divertimento, ma allo stesso tempo vuole parlarci di cosa sia l’uomo, di cosa sia veramente, una volta che viene liberato dagli orpelli del giudizio, dalla morale, dal senso di colpa per le conseguenze delle sue azioni.
Ci troviamo di fronte ad una serie che continua a ballare sull’orlo di due universi, passando con estrema facilità da uno all’altro, perché gli universi si specchiano l’uno nell’altro, perché la ricerca interiore dell’essere umano si rivede nella ricerca di comprensione di se e della coscienza dell’androide, perché la manipolazione ha molti versi, non si sa mai chi sta manipolando chi, uomo su uomo, uomo su androide, androide su androide. Siamo di fronte al libero arbitrio o a manipolazione? Dove finisce uno e inizia l’altra?
In entrambe le ricerche la consapevolezza di sé arriva dal dolore o dall’esperienza traumatica e in entrambe i casi il ricordo è il motore dell’evoluzione. Il cervello in quanto unico possibile divino elabora e trasforma il tutto, rendendo gli uomini dei e nel crepuscolo rendendo gli dei uomini.
Il dolore e il sangue sono passaggi fondamentali, perché nella strage si da il via ad una nuova vita, nel sangue e tramite il sangue nasce una nuova società, una nuova coscienza collettiva, la libertà di chi finalmente sa chi è.
Le infinite sciarade di Westworld
Lo show è macchinoso, lo riconosco, richiede una soglia di attenzione notevole, che restringe il pubblico, e richiede pazienza oltre che concentrazione. Ma tutto funziona alla perfezione, il racconto è un lungo e complesso gioco di sciarade dove niente è quello che sembra, ogni ricordo, ogni azione avviene in un modo che ci dà un idea di sé ma che alla fine scopriremo essere molto più complesso. Già nell’ultima parte della stagione molte cose venivano rivelate con parsimonia di scioccanti colpi di scena, ma è nell’ultimo episodio che il capolavoro prende forma: tutto, ma proprio tutto quello che avevamo visto è solo un illusione.
I tempi, i luoghi e le persone sono solamente giochi di luce, inganni della memoria, ombre del passato che ritornano inquietanti e oscurano la visuale, fino a nasconderci la verità, perché la sempiterna uguaglianza a se stessi degli androidi, come la continua ripetizione, rimuovono ogni connotazione temporale, ma la verità, passo passo, si rivela, le ombre tornano al loro posto, il presente prende nuovamente il sopravvento, le persone tornano a combaciare coi nomi, le immagini sovrapposte svaniscono e ci rivelano le immagini reali.
Gli scopi degli attori in campo, finalmente, si rivelano e non potevamo aspettarceli così. Abbiamo visto venire alla luce molte cose, piano piano ce le hanno fatte capire prima di dircele, abbiamo visto la faccia del giovane William iniziare a sovrapporsi a quella dell’uomo in nero, ben prima che il suo volto uscisse dal cappello, abbiamo immaginato la sequenza finale, ma il capire che tutto è stato messo in movimento da Ford, con errori e ripetizioni, al solo scopo di giungere a quello che nemmeno Arnold aveva capito, alla necessità Freudiana (e molto Bladerunneriana) di dover uccidere il proprio creatore per affermarsi come individui e di farlo come scelta e non come imposizione, ci scioccano profondamente.
Westworld, un capolavoro di regia e recitazione
Due ultime parole le meritano anche la recitazione e la parte tecnica. Di livello assoluto, sia la prima che la seconda. Un Anthony Hopkins in uno stato di grazia che non si vedeva da anni, una Evan Rachel Wood che riesce a dar vita a più personaggi in uno con un intensità incredibile, una Thandie Newton che sprizza carisma da ogni poro, Jeffrey Wright, James Marsden e soprattutto Ed Harris che convincono ad ogni apparizione.
Niente fuori posto, anche i comprimari che non stonano, sono armonici alla narrazione e ci beiamo di una grandiosità di fotografia e regia che possono solo meritare grandissimi applausi.
La prima stagione è quindi finita, portando a mio giudizio a compimento archi narrativi che non richiedono ulteriori approfondimenti, e ora l’attenzione è tutta rivolta a quanto Westworld sarà in grado di cambiare pelle nella prossima stagione, perché questo cambiamento è assolutamente necessario, perché per continuare a stupire, bisogna assolutamente rinnovarsi.
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Westworld
Sceneggiatura
Regia e fotografia
Recitazione
Magnifico
Una delle opinioni meglio esposte su questa serie, complimenti e non solo perché mi trovo d’accordo con essa ma perché riassume bene i motivi della bellezza di questa serie. Spiace solo per chi non l’ha compresa.
Grazie Cate, mi fa piacere il tuo gradimento 🙂