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Una scena di Velvet Buzzsaw

Velvet Buzzsaw: recensione del film horror Netflix di Dan Gilroy

È arrivato su Netlix il nuovo film realizzato dal colosso dello streaming e diretto da Dan Gilroy, Velvet Buzzsaw, un horror con Jake Gyllenhaal, Toni Colette, Rene Russo e la partecipazione di John Malkovich.

Velvet Buzzsaw: sinossi

Jake Gyllenhaal e Toni Colette in Velvet Buzzsaw

Nello spietato mondo dell’arte contemporanea, Morf (Jake Gyllenhaal) è un critico d’arte che collabora con la gallerista di successo Rhodora (Rene Russo), con la quale lavora anche l’ambiziosa agente Josephina (Zawe Ashton). La vita di Josephina e delle persone che ne fanno parte però verranno radicalmente influenzati da una scoperta che si rivelerà un’arma a doppio taglio: quando Josephina trova decine di quadri nell’appartamento del deceduto vicino di casa, questi la porteranno al successo, ma metteranno tutti in grave pericolo.

Velvet Buzzsaw: le nostre impressioni

Dan Gilroy torna a collaborare con Jake Gyllenhaal dopo il perturbante Lo sciacallo – Nightcrawler, nel quale aveva messo in scena un’oscura e spietata critica dell’industria televisiva e del giornalismo nero, con un film che condivide in effetti dei tratti di critica sociale con il lavoro precedente. Anche se Lo sciacallo in confronto risulta essere un’opera più feroce ed inquietante, anche Velvet Buzzsaw presenta degli aspetti degni di nota.

Una scena di Velvet Buzzsaw

Partendo dall’interessante ed originale idea di ambientare un horror soprannaturale nelle sofisticate gallerie di arte contemporanea, Gilroy ricostruisce un contesto in cui regna sempre uno sciacallaggio che viene (non del tutto) celato dietro a bei vestiti di personaggi meschini e a interni di curatissimo design. Quello dell’arte contemporanea è un argomento cui ultimamente il cinema si è interessato molto per mostrarne i suoi aspetti più controversi: si pensi al più algido e disincantato The Square di Ruben Ostlund o alla più spassosa e fresca commedia Mi obra maestra (Il mio capolavoro) di Alexandre Duprat. È sempre curioso vedere l’incontro/scontro sinergico di due forme d’arte, specialmente come nel caso di Velvet Buzzsaw, quando una delle due reinterpreta criticamente alcune caratteristiche dell’altra. Ciò che rende questo film Netflix più accattivante della produzione media della piattaforma dello streaming è infatti la brillante idea di tingere d’orrore le dinamiche commerciali dell’arte contemporanea, dando spazio e voce alla vendetta delle opere stesse, vittime prime ed ultime dell’opportunismo umano.

I protagonisti di questo film corale sono ambiziosi, senza pudore, opportunisti, dall’imprenditrice pronta a cogliere l’occasione giusta al critico narciso e ipergiudicante. L’ironia con cui il film si arma per presentare questi individui-macchiette contribuisce a denunciare la diffusa e rapace mercificazione dell’arte, vista ormai solo come prodotto da giudicare o da far fruttare. “Ti sei mai sentito invisibile?” chiede il robot-installazione allo schietto Morf, il quale giustifica il suo operato di critico d’arte con l’aforistico “meglio una cattiva recensione che sprofondare nell’anonimato”. È una battuta che racchiude in sé un aspetto su cui il film sembra voler far riflettere: l’opera d’arte visiva, la cui presenza ed estetica sembrano non contare quasi più nulla, si rivolge al suo stesso critico, il quale sembra voler cercare solo quella fantomatica idea che sta dietro ad essa o il suo valore commerciale, di cui tanto discutono i personaggi del film.

Una scena di Velvet Buzzsaw

Nel mirino della violenza ironica del film rientra, oltre alla concezione secondo cui un’opera artistica è soprattutto oggetto e fonte di guadagno, anche quell’atteggiamento tipico del mondo dell’arte contemporanea (che già emergeva nell’impacciato ed assurdo dialogo tra Claes Bang e Elizabeth Moss in The Square) di presentare o ricercare un’idea dietro l’opera artistica fin troppo sfuggente, ai limiti del platonico. Non è quindi un caso che il fascino ipnotico che le opere del misterioso Dease trasmettono venga ricondotto ad un dimensione materica, corporea, sanguinea e (iper)vitale che le opere d’arte contemporanea sembrano non avere più. Il filtro satirico presente nel film permette di ridere sia davanti alla gaffe di chi, per quanto esperto d’arte, non riesce più a riconoscere un cumulo di sacchi della spazzatura come tale, sia davanti al fraintendimento ben più sanguinario generato dal frame “mostra d’arte contemporanea”, che porta gli ignari astanti a pensare che il cadavere di fianco all’opera d’arte faccia parte del pacchetto dell’esperienza estetica.

Ma cosa potrebbe accadere se l’opera d’arte da oggetto-passivo diventasse soggetto-attivo? La piega orrorifca che prende il soprannaturale, necessario per rispondere a questa domanda, è interessante e originale. Dalla dinamica piuttosto classica che vede la creatura rivoltarsi contro il creatore si passa ad una ribellione contro i veri “carnefici”, quelli che si appropriano senza meriti del talento altrui, quelli che lo reificano e lo trasformano in un proprio guadagno. Così, con un “contagio” di colpe – tematica cardinale e tanto cara al genere horror – in questo caso di natura commerciale, le vittime diventano proprio quelle persone che in un modo o nell’altro volevano “violentare” le volontà dell’autore, accaparrandosi i suoi quadri.

Velvet Buzzsaw

valutazione globale - 7

7

Una satira horror e d'intrattenimento

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Velvet Buzzsaw: giudizio in sintesi

Pur risultando un’opera di critica sociale meno compatta dell’inquietante Lo sciacallo, Gilroy assembla una satira sfrontata e originale del mondo dell’arte contemporanea e degli atteggiamenti opportunistici e vanesi di chi ne fa parte con una buona e accattivante idea di fondo. Il soprannaturale che spinge a non porci troppi “perché” ben si concilia con la materia e la piega horror che viene data alla storia.

Una scena di Velvet Buzzsaw

Film che ben si inscrive nel filone di pensiero di The Square, portandolo a delle estreme conseguenze, presenta diversi spunti di riflessione, cui si accostano purtroppo trovate di sceneggiatura, regia e (ironia della sorte?) commerciali non particolarmente entusiasmanti. Purtroppo, ad esempio, molta della suspense, sulla quale non viene comunque troppo calcata la mano nel film, evapora inevitabilmente se si conoscono le (troppe) immagini e informazioni offerte dal trailer. Con una trama già in gran parte svelata, alcuni passaggi risultano un po’ superflui mentre altri sono un po’ mal riusciti, per quanto le prove d’attore rimangano tutte brillanti; tuttavia Velvet Buzzsaw riesce ad intrattenere lo spettatore grazie ad una satira mordace che mette in luce aspetti del mondo dell’arte che tendiamo a dimenticare o che semplicemente a volte non prendiamo in considerazione, a partire dall’opera stessa.

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