C’era chi dava M. Night Shyamalan artisticamente morto già da diversi anni a questa parte. Alcuni film come L’ultimo dominatore dell’aria e After Earth, oltre ad essere stati dei giganteschi flop al botteghino, distavano anni luce dalla sorprendente combo d’esordio del regista indiano nella settima arte con Il Sesto Senso e Unbreakable – Il predestinato. Una lenta ma marcata risalita era già avvenuta lo scorso anno con l’horror low budget The Visit. Una risalita che ha avuto un’ulteriore conferma con l’ultima fatica, Split, che segna il ritorno di Shyamalan in tutto e per tutto ai fasti di un tempo.
Split: la trama
La storia di Split vede protagonista Kevin (uno dei tanti nomi), uomo affetto da disturbi della personalità multipla che un giorno rapisce tre giovani ragazze per rinchiuderle in quello che sembra un seminterrato. Le tre si accorgeranno presto che il loro rapitore soffre di un problema che lo vede cambiare nome, tono di voce e abiti continuamente. In lui risiedono più di venti personalità diverse ed è in cura da una dottoressa, la signora Fletcher, che studia il suo caso per arrivare a rispondere ad una domanda all’apparenza semplice: è in grado l’essere umano di sbloccare un potenziale segreto e nascosto dentro di sé?
Un thriller minimalista che tiene sempre alta l’attenzione
Shayamalan non perde tempo e ci catapulta immediatamente dentro al film sin dai primissimi minuti. Eccolo lo Shymalan minimalista che conoscevano bene, quello che non si perde in tanti fronzoli e che tiene alto il pathos dall’inizio alla fine. Il regista indiano dirige con mano ferma e precisa un thriller che svela col tempo e in maniera intelligente quello che all’apparenza sembra una cosa e che invece si rivela essere un’altra, come nel classico dei film di Hitchcock. Se il paragone con il maestro della suspense sembra piuttosto azzardato, non si può certo dire che Shyamalan difetti di mancanza d’originalità nel costruire le sue storie e i personaggi che le popolano.
Un ottimo McAvoy impreziosisce il film
James McAvoy, un attore che è sempre stato un po’ nell’ombra senza mai avere un ruolo da vero protagonista, riesce nel compito difficile di dare credibilità, senza diventare una macchietta, ad un personaggio che ne ingloba tanti altri al suo interno: uno stilista, un ragazzino di 9 anni, una donna dall’accento inglese. Ma c’è una personalità che ancora non è venuta fuori ed è lì che ruota intorno tutto il film che, come da tradizione per i lavori di Shyamalan, non ha un twist sconvolgente, un colpo di scena che ti fa restare con la bocca aperta ma una svolta che, come detto, si dipana piano piano.
La rinascita grazie a Jason Blum
Insomma, la cura Jason Blum (produttore con la sua Blumhouse di horror come Paranormal Activity, Insidious, Ouija, ecc.) a cui il regista de Il sesto senso si è affidato già dal precedente The Visit ha avuto i suoi effetti in una carriera, quella di Shyamalan, che si stava compromettendo in maniera quasi del tutto definitiva. Ci voleva qualcuno che lo sapesse riportare sulla giusta carreggiata, quella fatta di film originali (una manna per Hollywood in questi tempi di sequel, remake e reboot) con la giusta dose di mistero, suspence e azione.
Sarebbe un delitto svelare l’ultimissima scena del film che ci auguriamo non sia una semplice strizzata d’occhio ai fan del regista ma che possa trasformarsi in qualcosa di concreto. Intanto, godiamoci un definitivamente ritrovato M. Night Shyamalan.
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Split
Valutazione globale
Minimalista e incisivo