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Legion: recensione dell’episoido 2.01 – il ritorno della follia

Legion fa il suo ritorno con la seconda stagione e l’inizio è ancora più folle e delirante di quanto non fosse stata la prima annata, con un complesso visivo e immaginifico che reimmerge immediatamente lo spettatore in questa storia a cavallo della follia.

Legion – episodio 2.01: la sinossi

legionDavid Hallar (Dan Stevens) è tornato ed è passato un anno dalla sua scomparsa nella sfera alla fine della prima stagione e in questo anno molto è cambiato: il gruppo di mutanti in fuga si è unito alla Divisione 3 per trovare e combattere il loro comune nemico, lo Shadow King.

Ma in Legion niente è come sembra: quali ricordi David tiene nella sua mente e non confessa agli altri? Qual’è il ruolo di Syd (Rachel Keller) in tutto questo? Cosa sta cercando lo Shadow King e cosa vuole realmente la Divisione 3 e il suo enigmatico capo, l’ammiraglio Fukyama?

Legion – episodio 2.01: le nostre impressioni

Alla visione del pilot di Legion, lo scorso anno, dopo lo stupore e l’incanto, ci chiedevamo se l’intera stagione potesse mantenere questo livello di “splendida confusione” e questo impianto frenetico e visionario o se si normalizzasse prima o poi. Gli otto episodi ci avevano dato una prima netta risposta che la serie non era e non sarebbe mai stata “normale” e l’incipit della seconda stagione rimane sullo stesso tracciato, anzi, sembra quasi fare un ennesimo passo in avanti, o per meglio dire, in profondità nella pazzia.

legionLa sensazione di disorientamento persiste e questo episodio che dovrebbe servire da congiunzione e riassunto per riprendere contatto con il finale dello scorso anno, fa certamente questo lavoro ma in un modo tutto suo, ossia ci riporta nel mondo di Legion, ma questo è un mondo che ha regole proprie, che si basa sulle sensazioni e che non presenta certezze lineari, sia temporali che logiche, per cui oltre a riportarci dove ci eravamo lasciati, più o meno, ci riporta anche dentro a quello che avevamo lasciato, con lo stesso senso di meraviglia e disorientamento, tanto che la bussola simbolica che viene regalata a Syd nel finale dell’episodio, diventa un emblema del nostro stesso navigare a vista all’interno della puntata.

La situazione si evolve, cambia, si contorce, sopravvive su più piani, alterna momenti di chiarezza ed esposizione a momenti in cui la storia va avanti per sensazioni e immagini; va avanti, torna indietro, ci porta alla deriva per poi farci ritrovare, anche se non sappiamo esattamente dove e quando, se nella realtà o meno, ci fa continuare questo viaggio dentro e fuori a menti disturbate e che dubitano della realtà e di se stesse, perché, come continui e subliminali messaggi in sottofondo ci ricordano, la percezione della realtà è qualcosa che l’avversario può alterare e che ci fa perdere le tracce così come le perdono i protagonisti.

legionL’impianto visivo e sonoro che Noah Hawley costruisce sono sempre di prim’ordine, tra luci e buio, tra silenzi ed esasperazioni del suono, tra armonia e cacofonia, continuando a sovvertire il piano visivo, così come il piano reale o astrale, un tripudio di colori e una scala di grigi, immagini vivide e strip animate.

La bellezza di questa serie, la sua innovatività, la sua richiesta di immersione totale, così come le performance dei protagonisti, sul bilico tra serenità e disturbo, sono la cifra stilistica che continua a fare di questa serie una delle migliori innovazioni degli ultimi anni, forse non la più bella, ma sicuramente la più “fresca”.

Legion: episodio 2.01

Valutazione globale - 8.5

8.5

emozione visiva e mentale

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Legion – episodio 2.01: un giudizio in sintesi

legionLa seconda stagione di Legion riparte da dove c’eravamo lasciati, ma nella sua definizione del termine, ossia non tanto da dove ci eravamo lasciati temporalmente, quello cambia radicalmente, ma dove vi eravamo lasciati a livello di contorsioni mentali, distaccamento dalla realtà, fascinazione visiva e psicologica.

Il lavoro di Hawley evolve, così come la serie, andando a sperimentare territori nuovi e portando con sé lo spettatore in un viaggio senza bussola, facendolo reimmergere in un tripudio di sensazioni contrastanti, tra luci, colori, suoni e assenza di tutto questo, tra reale e immaginario.

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About Andrea Sartor

Cresciuto a pane (ok, anche qualche merendina tipo girella o tegolino... you know what I mean... ) e telefilm stupidi degli anni 80 e 90, il mondo gli cambia con Milch, Weiner, Gilligan, Moffat, Sorkin, Simon e Winter. Ha pianto davanti agli uffici dell'HBO. Sogno nel cassetto: pilotare un Viper biposto con Kara Starbuck Thrace e uscire con Number Six (una a caso, naturalmente). Nutre un profondo rispetto per i ragazzi e le ragazze che lavorano duramente per preparare gli impagabili sottotitoli. Grazie ragazzi, siete splendidi

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