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La ruota delle meraviglie

La ruota delle meraviglie: la recensione del nuovo film di Woody Allen

Woody Allen torna al cinema per il consueto appuntamento annuale. La ruota delle meraviglie, la sua ultima opera, è stata prodotta e distribuita dagli Amazon Studios e vede protagonisti Kate Winslet e Justin Timberlake.

La ruota delle meraviglie: sinossi

La ruota delle meraviglieSui frenetici litorali estivi della Coney Island degli anni ’50 si intrecciano le vite dei quattro coprotagonisti. Ginny, ex attrice e cameriera frustrata, ha sposato in seconde nozze Humpty, giostraio rozzo e beone. Trascurata dal marito, Ginny si innamora di Mickey, bagnino ed aspirante commediografo: in lui, vede un possibile riscatto ed una fuga. Nella vita della nevrastenica coppia irrompe però anche la figlia di Humpty, Carolina, in fuga dal pericoloso malvivente che ha sposato in gioventù. Quando Carolina incontra Mickey, il delicato equilibrio emotivo di Ginny vacilla, e si innesca un effetto domino dalle conseguenze imprevedibili.

La ruota delle meraviglie: le nostre impressioni

Il cast de La ruota delle meraviglie è quasi ineccepibile ed è, probabilmente, la nota più lieta del film. Difficile trovare sbavature nella prova di un Jim Belushi in stato di grazia, forse a tratti eccessivo ma convincente nel ruolo del tragicomico “sconfitto”. Ancor più arduo muovere critiche alla Winslet: che sia raggiante d’amore o affranta dallo sconforto, il suo volto è sempre lo specchio fedele ed intenso dell’animo dei suoi personaggi.

La ruota delle meraviglie

La sua Ginny è il ruolo psicologicamente più complesso ed affascinante, ed all’attrice basta un solo sguardo per restituire anche le più impercettibili emozioni. Buona anche la prova della giovane Juno Temple. Le note negative, prevedibilmente, provengono da chi, nonostante le prestigiose collaborazioni, attore non è: Justin Timberlake, che assolve indubbiamente (ed unicamente) la funzione di belloccio. Al di là del suo sorriso troppo perfetto e di qualche inquadratura studiata ad arte per metterne in risalto l’azzurro degli occhi, la sua interpretazione non aggiunge nulla alla trama.

Trama che, del resto, si sviluppa con molta fatica. La pellicola procede a rilento per buona parte della sua durata, quando il regista esibisce la consueta abilità nel tracciare il profilo di personaggi alle prese con le rispettive preoccupazioni e frustrazioni quotidiane. Anche quando il film sembra trovare un guizzo narrativo nella parte finale, non appena il prevedibile intrigo sentimentale à la Allen rischia di sparigliare le carte, tutto si disinnesca nel piatto silenzio finale: tanto quello senza più speranze dei protagonisti, quanto quello deluso degli spettatori.

La ruota delle meraviglie

I temi affrontati sono ormai triti e ritriti: la frustrazione; il sogno di una fuga; la responsabilità morale di fronte ai propri atti, compresi quelli più abietti; il senso di colpa. Nulla che Allen non abbia già scandagliato con dovizia di particolari, più e più volte. Il tentativo di ingolosire il pubblico con il ritorno al dramma convince poco, nonostante Allen abbia dimostrato un invidiabile eclettismo lungo tutto l’arco della propria carriera.

Infine, la fotografia. Un dettaglio tecnico notevole, che Allen ha affidato al pluripremiato Vittorio Storaro. Il cromatismo della pellicola non solo non entusiasma, ma alla lunga si rivela sgradevole e, a tratti, troppo forzato. Il tentativo di modulare i colori sulla componente psicologica dei personaggi pare un esercizio di stile fine a sé stesso, così come sbalordisce l’innaturalezza complessiva dell’illuminazione.

La ruota delle meraviglie

Valutazione globale - 5

5

Declino a tinte forti

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La ruota delle meraviglie: un giudizio in sintesi

Il ritorno al dramma di Woody Allen, purtroppo, non lascia il segno. I personaggi, tutti ben descritti e, nel complesso, ben interpretati, costituiscono il solo asse portante di una pellicola che si trascina stancamente senza mai entusiasmare troppo. La pochezza della trama, inoltre, pare soffocata da una fotografia talmente accesa che, paradossalmente, oscura più di quanto illumina.

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About Vito Piazza

Tutto inizia con Jurassic Park, e il sogno di un bambino di voler "fare i film", senza sapere nemmeno cosa significasse. Col tempo la passione diventa patologica, colpa prevalentemente di Kubrick, Lynch, Haneke, Von Trier e decine di altri. E con la consapevolezza incrollabile che, come diceva il maestro: "Se può essere scritto, o pensato, può essere filmato".

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