La diseducazione di Cameron Post è il film della giovane regista di origini iraniane Desirée Akhavan, vincitore del Sundance Festival nel 2018 come miglior film. Il film è stato presentato alla 13a edizione della Festa del Cinema di Roma nella sezione Tutti ne Parlano.
La diseducazione di Cameron Post: sinossi
Quando Cameron Post viene scoperta a baciare una compagna di classe nel parcheggio del liceo, la zia affidataria e bigotta la invia in un campo di conversione cristiano per gay. Isolata in un campus tra i boschi a nord di New york, Cameron e una ventina di coetanei dalle “idee confuse”, vengono sottoposti a sedicenti cure psichiatriche per ragazzi da orientamenti sessuali non accettati dalle loro famiglie. La rgazza e un paio di compagni ribelli stringono presto amicizia. In seguito ad un incidente i tre amici decidono di tagliare la corda ed evadere da questa prigione di menzogne.
La diseducazione di Cameron Post: le nostre impressioni
Ambientato nei primi anni ’90, il film ha riscosso molto successo negli Stati Uniti dove la battaglia contro l’omofobia inizia a fare progressi solo con l’amministrazione di Clinton, e successivamente quello di Obama. Una tematica ancora molto attuale, il film analizza molto da vicino la radice dell’omofobia, qui giustificata da vaghe teorie psicanalitiche, negando la natura dell’ attrazione per lo stesso sesso. Una storia coming-of-age di lotta e affermazione, molto verosimile ispiratosi a situazioni realmente accadute. Ancora oggi, negli Stati Uniti ma anche in Italia, esistono delle comunità cristiane per ragazzi dall’orientamento sessuale “confuso”.
Girato nell’arco di 23 giorni in un Resort tra i boschi dell’upper New York, l’intero cast e la troupe ha convissuto e lavorato a stretto contatto. La diseducazione di Cameron Post non parla solo di omosessualità, ma mette in guardia dai pericoli verso tutti i tipi di discriminazione contrari alle fedi bigotte e giustificate da teorie strampalate. Perfetta nel ruolo dell’angelica ma spaventosa direttrice del centro, è la Psicologa Lydia Marsh (Jennifer Ehle), che valida con la sua professionalità delle sedute aberranti, per “malattie” inesistenti.
La regista che si proclama bisessuale non è nuova ad affrontare temi LGBT. Il suo primo lungometraggio, Appropriate Behaviour, presentato al Sundance Festival nel 2014, era un progetto che la vedeva Desiree Akhavan regista, autrice e protagonista in una storia che, sebbene non autobiografica, attinse molto dalle sue esperienze personali e sentimentali.
La diseducazione di Cameron Post – dichiara la Akhavan in un’intervista – molti sono stati gli spunti raccolti durante la sua permanenza in un centro di riabilitazione per disturbi dell’alimentazione cui si sottopose da giovane. L’analisi e le intense sedute di gruppo, seppure – sottolinea – non umilianti o manipolative come accade nel film, prevedevano un totale abbandono e fiducia da parte del paziente. Un potere mal riposto nel caso dei curatori del God’s Resort, che vessano e umiliano adolescenti a volte fragili e disorientati. Il disorientamento di Cameron Post non proviene da un orientamento sessuale confuso, bensì dal non essere accettata. Senso di se e accettazione dunque come tema universale, comune a molti giovani.
Il cast è giovane e poco patinato, i dialoghi tra i ragazzi sono pieni di empatia e a volte umorismo. Il rifiuto di Cameron Post ricorda il personaggio di Jack Nicholson in Qualcuno volò sul nido del cuculo. Sembra Cameron l’unica in tutto il centro a essere la normale tra i diversi. Lo sguardo costantemente attonito e sperduto di Chloë Grace Moretz, mentre fatica ad uniformarsi alle “lezioni” che le vengono imposte, alla lunga è fastidioso. I suoi compagni di ribellione invece, il native-american Adam (Forrest Goodluck) e Jane (Sasha Lane) dai lunghi dread e una protesi alla gamba, sono perfetti nel ruolo di outsider.
La diseducazione di Cameron Post: giudizio in sintesi
Il film nel complesso è semplice e la regia modesta, anche se l’idea è originale. Si tratta di un prodotto american indie dai buoni sentimenti. Il significato che trasmette è indubbiamente molto importante.
Devo ammettere che durante la prima parte ho davvero creduto di assistere ad una pellicola d’autore: le immagini in presa diretta e il montaggio di scene di vita di provincia. Nella seconda parte del film invece c’è qualcosa di ingenuo. Qui il film inizia ad assomigliare ad un ennesimo teen movie. Una sorta di spin-off per adolescenti dove sono protagonisti gli emarginati, solitamente bullati nelle serie tipo Tredici.
Il crescendo verso il finale è accomodante, con una repentina sferzata regala speranza per il futuro e ne fanno un film apprezzabile dal pubblico di tutti gli orientamenti. A mio avviso se avesse schiacciato di più sulla drammaticità, sarebbe diventato presto un Cult di genere.
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