I morti non muoiono è il titolo dell’ultimo film di Jim Jarmusch, che ha aperto l’ultima edizione del Festival di Cannes. Disponibile nelle sale italiane dal 13 giugno, il film raduna un cast altisonante dove figurano, tra gli altri, Bill Murray, Adam Driver, Chloë Sevigny e Tilda Swinton.
I morti non muoiono: la sinossi
A seguito di cambiamenti climatici che hanno alterato l’asse terrestre, nella cittadina di Centreville accadono fatti inspiegabili: gli animali sono spariti nel nulla, il sole tarda a tramontare e le trasmissioni radio paiono impazzite. Quando il commissario Robertson (Murray) e l’agente Peterson (Driver) si imbattono in due corpi orrendamente mutilati, la consapevolezza che qualcosa stia andando storto inizia ad impossessarsi degli abitanti di Centreville.
I morti non muoiono: le nostre impressioni
I morti non muoiono non è tra i migliori film di Jarmusch, che in questa circostanza utilizza – ed omaggia – il genere, servendosene per i propri personalissimi intenti. Quello di Jarmusch è un film che parla con straordinario “realismo” e disinvoltura di zombies, ritraendoli con l’accuratezza degna dei maestri (Romero su tutti) e con la perizia di un amante della macchina-cinema, ma che utilizza il mostro come nave d’approdo al porto della disamina/denuncia sociale. Una denuncia, duole ammettere, dallo spettro fin troppo ampio, scontato, già visto e sentito. E, per tutti questi motivi, una denuncia dalla portata quasi innocua.
La prima parte di I morti non muoiono restituisce un Jarmusch all’ennesima potenza: ritmi dilatati, ironia, riferimenti meta- (cinematografici, musicali, testuali, referenziali), dialoghi esilaranti centellinati con cura. Tutto costruito con sapiente climax verso l’arrivo degli zombie. Il regista di Akron tesse con calma la sua tela, e nel far ciò osserva con occhio fintamente scientifico il dato incredibile della vicenda. Il famigerato fracking dei poli terrestri, utilizzato in maniera scellerata per succhiar via ogni particella di gas dal pianeta, innesca una serie di scompensi ambientali che, fatalmente, condurranno alla comparsa dei non-morti. Che, così, si ammantano dell’aura della plausibilità empirica.
Tradotto: il mostro non è che la conseguenza inevitabile di una miopia tutta umana. Il non-morto (o, ugualmente, il dannato inconsapevole in vita) è l’umano massificato, ottuso da certa politica energetica e non, vanitoso e soprattutto sordo. Incapace di ascoltare i richiami di coloro che, ai confini della cittadina di Centreville o al di fuori di essa, richiamano con zelo (quasi) impercettibile un’umanità irrimediabilmente perduta, esibendo diversificate sindromi del savant. In questi riguardi, la grande metafora ambientalista di Jarmusch pecca di prevedibilità e, perché no, anche di una certa petulanza (rivedibilissimo lo spiegone finale).
Dove invece I morti non muoiono coglie maggiormente nel segno è in ciò che sta al di fuori, al di là e di traverso alla trama nuda e cruda. Il film colpisce più nei suoi contorni che nella portata principale. È, come detto, nei continui rimandi meta- ed extra-testuali, nonché pop, che Jarmusch affascina e fa quasi perdere lo spettatore. Continui sono i rimandi all’opera di George Romero, dalla locandina fino a certi dettagli del profilmico. Esilaranti si rivelano tutti i personaggi secondari, cominciando dall’incarnazione (jarmuschiana) dell’“americano medio”, egoista e isolazionista, il cui credo trumpiano tradisce un sostanziale razzismo ed è già garanzia di precoce dannazione; passando per il trio di giovani capitati nella disgraziata cittadina, tra i quali una star della tv adolescenziale statunitense che, piuttosto emblematicamente, finirà vittima della propria ottusa dabbenaggine; finendo con il giovane titolare del rifornimento della cittadina, cinefilo doc (la sua maglietta omaggia il Nosferatu di F. W. Murnau) e, per questo motivo, tra i primi in grado di comprendere i pericoli ed affrontare gli zombie. E poi, naturalmente, i personaggi principali, tra i quali spicca una Tilda Swinton il cui personaggio manifesta chiare ascendenze della produzione di S. Suzuki. Insomma, il groviglio metatestuale è talmente vasto da necessitare estrema attenzione, configurando quasi un film nel film.
Fuori dai suoi interpreti secondari, I morti non muoiono offre personaggi in pieno stile-Jarmusch, perfettamente incarnati nel feticcio-Murray. Quasi commovente la sua flemmatica ma ferrea umanità, a tratti comica ed a tratti commovente, specie nel suo essere residuale in un mondo che Jarmusch (ma anche qualcuno dei suoi personaggi, per un surplus estremo di meta-cinema ed autoreferenzialità) sa sulla via dell’inevitabile sconfitta. Una sconfitta, seppur parziale e con qualche attenuante, alla quale I morti non muoiono sembra non riuscire a sottrarsi, nonostante le prove attoriali più che convincenti di Bill Murray ed Adam Driver; nonostante gli orpelli metatestuali, o la fotografia indubbiamente azzeccata. Nonostante tutto, Jarmusch fa sorridere e si conferma come un regista abile, ma capace di risultati assai migliori.
I morti non muoiono
valutazione globale - 6
6
Divertissement pretestuoso ma godibile
I morti non muoiono: giudizio in sintesi
Pur non potendo essendo tra i migliori film di Jarmusch, I morti non muoiono si rivela una pellicola godibile al di là di qualche pecca. Il meccanismo del genere, sfruttato da Jarmusch per la denuncia e la sensibilizzazione ambientalista, è più che evidente. Così come evidenti (e un po’ prevedibili) sono i veri nodi polemici, dati da una politica statunitense che il regista giudica folli e che sono rispecchiate da un’umanità tutta intenta al perseguimento dei futili beni materiali. Di là da questa prevedibilità, I morti non muoiono si riscatta nel suo porsi come un prodotto intrinsecamente meta-: innumerevoli sono i rimandi a registi amati da Jarmusch (Romero o Suzuki), parecchie le citazioni e le autocitazioni, per quella che è un’autoreferenzialità non stucchevole. E se i protagonisti principali del film – in tal senso, magnifiche le interpretazioni di Bill Murray e Adam Driver – sono un perfetto surrogato della poetica di Jarmusch, è in quelli secondari che il regista di Akron esibisce tutta la propria ironia, beffarda ed esilarante.
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