Damnation, la serie Netflix pseudo-western ambientata nell’America rurale degli anni ’30, parla dell’oscurità della violenza in una landa desolata ai confini del mondo. Lo show, un po’ alla Deadwood, nasce con l’intento di rendere nota una pagina di storia americana poco conosciuta: la rivolta della Farmer’s Holiday Association, un movimento di contadini del Midwest che scioperano subito dopo la Grande Depressione. La trama ruota intorno a due fratelli: il sedicente pastore Seth Davenport, interpretato da Killian Scott (Call the midwife), che aizza il popolo contro il potere costituito, e l’agente Creeley Turner, che ha il volto di Logan Marshall-Green (Dark Blue, Quarry), mandato a soffocare nel sangue la protesta.
Damnation: la sinossi
Nella cittadina di Holden il pastore Seth Davenport sobilla gli agricoltori, ridotti ormai alla fame, a scioperare. Durante un picchetto, un crumiro uccide il capo della rivolta davanti a suo figlio: è ‘il cowboy’ Creeley Turner, arrivato nella contea per mettere fine ai disordini.
In un attimo si scatena la guerra, alimentata dalle incursioni della Legione Nera, una sorta di Ku Klux Klan. Viene alla luce un antico legame tra Seth e Creeley. Lo scoprono le rispettive compagne: Amelia (Sarah Jones), moglie devota, e Bessie (Chasten Harmon), prostituta del bordello. La prima arruolerà un reporter (Joe Adler) per stampare volantini clandestini, mentre la seconda, figlia illegittima dello sceriffo, dovrà scappare dalle persecuzioni razziali.
Damnation: le nostre impressioni
Tutto e il contrario di tutto, verrebbe da dire. Damnation non mantiene neanche ciò che promette: personaggi, fatti, luoghi, dialoghi si intrecciano ritmicamente offrendo una messinscena bella da vedere ma oscura, a tratti confusa e disorientante.
Meglio partire dalle certezze: quali? La violenza come soluzione, che qui non sembra neanche troppo estrema per la frequenza con cui la si adopera (Netflix infatti segnala che è vietata ai minori di 14 anni), e le macabre messinscena, ad esempio un uomo inchiodato mani e piedi in pieno centro cittadino. Resta negli occhi l’immagine di una specie di Cristo sacrificato sull’altare degli scioperi.
Poi c’è la sovrabbondanza di linciaggi e schizzi di sangue, e cervello sparso qua e là in faccia ad un prete, che però è un prete pistolero. Seth Davenport infatti spara a più non posso e fa fuori una dozzina di avversari in una manciata di secondi. Scene, queste, davvero ben girate e credibili, anche grazie alle scenografie ereditate dalla serie Deadwood: una cosa non da poco, mi sembra giusto riconoscerlo.
Invece ciò in cui poco si crede è la trama, l’intreccio degli eventi che scorrono a gran velocità davanti agli occhi dello spettatore che quasi non ha il tempo di realizzare chi rimane in gioco e chi è stato fatto fuori. Il tempo cioè di empatizzare con qualcuno di questi protagonisti (forse troppi?) alquanto evanescenti, per nulla caratterizzati in profondità, che vediamo sfilare ripresa dopo ripresa. Tutto e il suo contrario, appunto. In un intercalare coerente di vuoto e pieno, di narrazione e assenza di narrazione, di senso e nonsense.
Rimane il dubbio dell’intenzionalità dell’operazione, bisognerebbe chiederlo a Tony Tost, creatore della serie, che comunque non vedrà rinnovata la seconda stagione a causa di un problema di scarsa audience sul canale che l’ha trasmessa negli Stati Uniti, Usa Network.
Damnation - prima stagione
Valutazione globale - 5
5
Faticosa da seguire ma bella messinscena pseudo-western
Damnation: un giudizio in sintesi
Se all’inizio di Damnation domina la bellezza del paesaggio canadese, via via ogni spiraglio di luce viene offuscato dalle atmosfere dark e dalle scene cruente. A tenere alta l’attenzione dello spettatore c’è un cast di tutto rispetto, capeggiato da Killian Scott e Logan Marshall-Green, due fratelli accomunati da un passato segnato dalla violenza.
Aleggia sulla saga un presagio cupo, un’ombra che si allunga, la cui espressione più riuscita sta nel titolo che appare in rilievo all’ inizio di ogni episodio: stagliandosi su un grande cielo blu o con lo sfondo delle immense praterie.
Emergono per personalità due figure femminili: la prostituta Bessie (Chasten Harmon), e Connie (l’intensa Melinda Page Hamilton), una killer spietata. Al centro di tutto c’è la guerra tra lavoro e capitale che si scatena tra continui colpi di scena.
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