Si usa dire spesso che nessuno è profeta in Patria, e anche per Antonio Campo Dall’Orto questa affermazione sembra calzare a pennello. In Italia spesso non apprezziamo quello che abbiamo, soprattutto se si tratta di managers, per via, il più delle volte di un’arretratezza culturale del nostro Paese di decenni e un egocentrismo culturale che ha pochi paragoni (questo sì) al mondo. Ma dagli USA la prospettiva è diversa e lo testimonia questa intervista rilasciata a Variety nel corso del Drama Co-production summit.
Antonio Campo Dall’Orto, ex vice presidente esecutivo di Viacom International Media Networks, è stato nominato direttore generale della Rai nel mese di agosto 2015. Da allora ha lavorato duramente per ridefinire il ruolo della televisione di stato mammut nel panorama mediatico italiano dell’era post-Berlusconi. Un elemento centrale della sua visione di rinnovamento è stata quella di spingere il pubcaster nell’arena internazionale della fiction televisiva forgiando legami con Netflix, Wild Bunch TV, e più recentemente attraverso la collaborazione della Rai con HBO su una serie basata sul romanzo di Elena Ferrante La mia amica geniale
Signor Campo Dall’Orto, lei ha detto che gli investimenti della Rai in La mia amica geniale soddisfano molti dei vostri obiettivi di servizio pubblico. Segna certamente un distacco drastico dai drammi televisivi più tradizionali e in gran parte locali che sono stati il prototipo Rai da molto tempo. Quali sono questi obiettivi?
Questo progetto è particolarmente importante perché racchiude in sé molte delle nostre ambizioni. Credo che uno degli elementi che caratterizzano un’emittente pubblica siano i drammi originali. Quando si generano tanti contenuti come facciamo noi, si diventa una forza narrativa che definisce il Paese. Il primo accordo di questo tipo che ho firmato era nel settembre 2015, quando abbiamo fatto l’accordo con Netflix per Suburra. La mia missione come servizio pubblico è quello di servire diversi tipi di pubblico con le fiction televisive che utilizzano diversi tipi di linguaggi narrativi su diversi canali. La Rai rappresenta oltre il 70% della produzione di fiction italiana, e come emittente pubblica diamo un contributo superiore al settore di quanto le altre emittenti pubbliche europee facciano. La Rai ora ha un’ambizione internazionale che non aveva prima per le sue serie TV, ed è anche il fatto di utilizzare forme innovative di storytelling che a sua volta ci permette di attingere a nuovi talenti. Quello che gli americani sono stati in grado di fare è utilizzare un grande pool di talenti provenienti sia dal cinema sia dai programmi TV per rendere le serie TV attrattive. Voglio portare la Rai nel mondo, cambiare la società dal punto di vista culturale. Le fiction televisive sono un settore nel quale siamo stati in grado di muoverci più velocemente di quello che mi aspettavo.
Ci sono altre produzioni originali di cui la Rai è particolarmente fiera?
A parte l’affare Netflix con Suburra, che andrà in onda su Rai 2, sono orgoglioso di Non Uccidere, una serie innovativa che ha un sentore di noir nordico all’interno, che sarà presto trasmessa in Francia e Germania su Arte. E naturalmente c’è I Medici che è stato un enorme successo. Con Wild Bunch TV stiamo anche sviluppando un’altra serie basata su Il nome della rosa di Umberto Eco. Poi c’è anche una serie poliziesca dal titolo Rocco Schiavone, che ha fatto bene su Rai 2. E una serie imminente chiamato Sirene che stiamo co-producendo con la Beta, per la quale ho detto specificamente al nostro reparto dramma di osare. Stiamo anche parlando con Amazon, e penso che presto annunceremo un altro grande accordo internazionale. Non credo che fosse così naturale cinque anni fa per le aziende come HBO, Netflix o Amazon di cercare una collaborazione con la Rai. Oggi siamo un player di quel tipo, ed è chiaro che se azzecchiamo i prodotti giusti questo inizierà un ciclo virtuoso.
Tornando alla serie tratta dal libro della Ferrante, è in fase di programmazione per essere trasmessa sulla rete ammiraglia Rai 1, nella quale le serie TV sono storicamente attese per raccogliere un’elevata audience. Può essere complicato per un prodotto curato da un autore di livello come Saverio Costanzo raccogliere numeri a due cifre. Come sta bilanciando la spinta ad alzare l’asticella culturale con il mantenere competitivo il lato rating?
Nei primi mesi del 2017 abbiamo una media del 40% di rating in prima serata. Quindi penso che stiamo dimostrando che se si è attenti a come innovare, si raccolgono i risultati. La mia amica geniale andrà in onda su Rai 1, perché fare successo con narrazioni rischiose è un obiettivo che ho indicato a tutti in Rai, non solo il reparto dramma. Non sto dicendo che tutti gli show che facciamo andranno bene con gli ascolti, ma finora, nel complesso, non possiamo lamentarci.
Come descriverebbe le principali sfide che ha affrontato da quando ha assunto il posto di lavoro nell’agosto 2015?
Gli obiettivi fissati per me erano di trasformare la Rai sia in termini di gestione sia di contenuti, probabilmente più in termini di contenuti, perché questo è un aspetto del servizio pubblico. Uno dei miei due principi guida è quello di fare una Rai ‘inclusiva’. Inclusiva significa in grado di catturare diverse sensibilità nel paese. Fare Non Uccidere è stato molto importante. Un sacco di gente mi ha detto: ‘non sembra uno spettacolo Rai.’ Beh, questo è quello che mi piace. L’altro [principio] è di essere universale, che è molto difficile in questi giorni. Perché c’è un segmento di pubblico, i post-adolescenti, che è davvero difficile da catturare. Ma il modo per farlo è attraverso lo sport e il dramma, e anche con il digitale.
Il digitale è stata una grande parte di quello che ha fatto, con il lancio di RaiPlay, l’applicazione ufficiale per guardare tutti i canali Rai in diretta su diversi dispositivi.
Avevamo bisogno di uno strumento che permettesse agli spettatori di guardare i contenuti ‘quando vuoi dove vuoi’, che può sembrare una cosa ovvia. Non è stato così facile da ottenere, però, perché non mi rendevo conto fino a che punto la Rai era arretrata. Ma a gennaio, sei mesi dopo il lancio, sono stato felice di vedere che RaiPlay è il sito web TV che ottiene la maggior parte del traffico in Italia.
Ha altre ambizioni per la Rai in ambito internazionale?
Per un’emittente pubblica non ci sono molti modi di diventare più internazionale; è tutta una questione di realizzare i contenuti giusti per esportare, e il contenuto chiave in questo senso, in questo momento è la fiction televisiva. Ci sono anche i film, ma la fiction è più attuale. Ho un mandato di tre anni e ci sono due cose per le quali vorrei che la mia leadership in Rai fosse ricordata. La prima è RaiPlay, l’altra è quello di essere il ragazzo che giocava a fare diversi tipi di fiction tv, facendolo con partner internazionali.
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