Better Call Saul ha chiuso la terza stagione con toni decisamente cupi che rispecchiano quanto visto nel corso dei 10 episodi trasmessi sulla AMC (negli Stati Uniti) e su Netflix (in Italia). Se nelle prime due stagioni si intravedevano di tanto in tanto delle scelte autoriali (e di stile) che strizzavano l’occhio alla serie madre (Breaking Bad), nella terza Better Call Saul viaggia ormai sulle proprie gambe e lo fa nel migliore dei modi, confermandosi una delle migliori serie (di sicuro il miglior spin-off, ma non è che ce ne siano tanti, anzi) in circolazione.
Better Call Saul: la caduta
Se dovessimo riassumere con un unico titolo la terza stagione mi verrebbe in mente questo: “la caduta”. Quando qualcuno pensa di aver posto delle basi solide su cui costruire un qualcosa di proficuo ecco che arriva un imprevisto, il più delle volte causato involontariamente dalla stessa persona, a far crollare tutto. Ognuno – e Gilligan ce lo ha fatto capire in tutti i modi possibili da ormai 10 anni – è il solo ed unico responsabile delle proprie azioni. Non c’è niente e nessuno che possa scardinare questo, chiamiamolo così, meccanismo. Prendete ad esempio Chuck, il fratello di Jimmy. Dopo aver scoperto che quest’ultimo ha falsificato dei documenti del caso Mesa Verde per favorire Kim, Chuck lo porta in tribunale e lo costringe a confessare. Ma in uno degli episodi migliori della stagione (capolavoro di scrittura) l’astuzia di Jimmy lo frega a sua volta. Lì comincia il crollo definitivo di Chuck, fino all’ultima drammatica scena della stagione. O prendete Kim, il cui lavoro sul caso Mesa Verde l’assorbe giorno e notte. Nel momento più importante una distrazione la farà sbandare letteralmente, rimpiangendo di non essere rimasta in ufficio con Jimmy. Come sarà la sua reazione?
E Jimmy? Tanto meglio non se la passa. La sua trasformazione in Saul Goodman è ancora in fase di divenire (anche se ha già cominciato ad utilizzare il nome per degli spot pubblicitari) e le sue mosse truffaldine, alla lunga, gli presentano il conto da pagare (vedi il caso Sandpiper). L’etica e la morale sono ormai distanti anni luce da Jimmy, la cui avidità inizia a fuoriuscire in maniera decisa e prepotente. A vederlo così non verrebbe da pensare all’avvocato McGill come ad una persona bramosa e smodatamente desiderosa di soldi, e questo è dovuto sia alla caratterizzazione data da Gilligan in fase di scrittura sia alla straordinaria bravura di Bob Odenkirk che, nonostante la negatività del personaggio, riesce sempre a dargli quel barlume di umanità che ancora risiede in lui.
Gus Fring: un’entrata in punta di piedi
Better Call Saul ha sempre saputo districarsi perfettamente con più storyline che viaggiavano in parallelo e che talvolta andavano ad incontrarsi (Jimmy, Chuck, Mike). Nella terza stagione gli autori hanno deciso che era il momento di introdurre nella mischia anche Gus Fring, un personaggio che per i fan di Breaking Bad è diventato un vero e proprio cult col tempo. Il rischio che Fring prendesse il sopravvento sugli altri personaggi era concreto alla vigilia ma ancora una volta vanno fatti i complimenti agli autori per aver evitato questa sovraesposizione di Fring centellinando nel corso dei 10 episodi la sua presenza, che risulta in ogni modo fondamentale per i futuri scenari della gestione del narcotraffico tra Stati Uniti e Messico. Nella quarta stagione probabilmente il suo peso si farà sentire un po’ di più.
Già, la quarta stagione. Ancora nessuna conferma ufficiale ma alla luce degli eventi dell’ultimo episodio necessaria, non solo per ciò che è rimasto in sospeso ma perché manca a tutti gli effetti un ultimo tassello (forse anche due) di congiunzione tra Better Call Saul e quel che accadrà poi in Breaking Bad. Nel frattempo non possiamo che lodare questa serie per essere riuscita nel difficile compito di essere un qualcosa di diverso da quello che ci aveva conquistato in precedenza senza tradirne minimamente la mitologia costruita in 5 anni.
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Better Cal Saul - terza stagione
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