La prima parte di The OA, serie creata e prodotta da Brit Marling e Zal Batmanglij, aveva lasciato lo spettatore nel più grande sconforto, senza spiegazioni esaustive, pieni di dubbi. Le aspettative si sono ingigantite sempre di più, finché la grande notizia è arrivata: ci sarebbe stata una seconda parte. Approdata sulla piattaforma Netflix venerdì 22 marzo, The OA si conferma nuovamente una delle serie più interessanti e curate del panorama seriale, un piccolo gioiello, una perla di serialità dalle molteplici sfaccettature.
The OA 2: la sinossi
Prairie (Brit Marling) è riuscita a saltare nella dimensione parallela in cui è Nina Azarova, la giovane donna che sarebbe diventata se fosse rimasta in Russia. Insieme a lei, sono riusciti ad entrare nella corrente intradimensionale Hap (Jason Isaacs), Rachel (Sharon Van Etten), Scott (Will Brill), Renata (Paz Vega) e l’amato Homer (Emory Cohen), che però non ricorda la sua altra vita. Qui si trova ad interagire con i pazienti di una clinica, con i misteriosi ricercatori onirici, accanto al detective privato Karim (Kingsley Ben-Adir). Contemporaneamente, nella dimensione da cui OA è partita, Steve, Betty, Buck, Jesse e Alfonso (Patrick Gibson, Phylliss Smith, Ian Alexander, Brendan Meyer, Brandon Perea) cercano di dare un senso a ciò che è accaduto con OA in una ricerca che li porterà molto lontano da casa.
The OA 2: le nostre impressioni
Si possono dire molte cose su The OA: è una serie complessa, articolata, tutto fuorchè lineare. E’ una serie che richiede concentrazione, attenzione, che spinge lo spettatore ai limiti dell’incredulità. Non è un prodotto facile ma è senz’altro uno dei migliori risultati di un lavoro ben mirato a livello sceneggiaturale e attoriale. C’è una cura così profonda di ogni dettaglio, di ogni elemento, che per quanto sembri non andare a parare da nessuna parte, si allinea coerentemente con il concept di fondo di The OA, creando un’armoniosa rete di significati, correlazioni, riflesso di quell’effetto eco citato nello show.
Quello che colpisce in questa nuova stagione di The OA è che, ancor più di prima, si vuole raccontare una storia, al di là di ogni paradosso ed elemento fuorviante. Questa è sempre stata la cifra stilistica delle produzioni ad opera della Marling e di Batmanglij, ma stavolta si sono spinti oltre, chiedendo allo spettatore di affidarsi ciecamente e senza pregiudizi ad una narrazione tutt’altro che chiara, paradossale, quasi magica. D’altronde il loro obiettivo non è fare chiarezza, bensì raccontare una storia. Perciò ci ritroviamo sin dal primo episodio davanti ad una narrazione che sembra non avere niente a che vedere col laboratorio di Hap della scorsa stagione, avendo come fulcro centrale la storia di una ragazza scomparsa, ricercata da Karim su invito della nonna preoccupata. Da qui la dimensione del sogno si apre davanti agli occhi dello spettatore, fatta di un meccanismo sfruttato da una sinistra azienda, la CURI, che sfrutta soggetti dormienti per creare una sorta di mappa onirica. In un’atmosfera che sembra davvero immersa nel sogno, il legame profondo che si crea fra l’OA e Karim diventa uno dei cardini della serie, rendendola se possibile ancor più umana.
Oltre al sogno, un’altra sensazione sembra aleggiare forse ancor di più in questa seconda parte di The OA, ovvero l’angoscia. Sì, perché se si sperava di trovare una liberazione da quel senso di soffocamento che accompagna ogni minuto di narrazione della prima stagione, si rimane “delusi”. Anche in questi nuovi 8 episodi il livello di tensione è molto alto, coerentemente con il desiderio evidente dello show di suscitare emozioni estreme. Il leitmotiv di questo stato tensivo è nelle mani del triangolo Prairie/Nina/OA-Homer-Hap: irrimedialmente legati in ogni dimensione da un effetto eco che rimbalza come un’onda d’urto, i 3 sono destinati a ritrovarsi, loro malgrado, ovunque essi vadano. Tuttavia, il motivo per cui vengono mossi l’uno verso l’altro è ben diverso: Hap è ossessionato dalla conoscenza che una creatura sensazionale come OA può fargli raggiungere, ed è naturalmente attirato da ciò che gli è opposto. Homer e Prairie, invece, sono mossi da un sentimento così forte che li porta a trovarsi ovunque, al di là di ogni barriera spazio-temporale. Questo legame può presentarsi sotto varie forme, tanto da giungere in una dimensione così sovrapponibile alla nostra da lasciare tutti senza parole.
Quello che fa The OA è spingere lo spettatore ai limiti dell’incredulità, gettandolo in una dimensione spirituale che trascende ogni etichettatura e fa riflettere sull’essenza stessa dell’umanità. Ed è così che giungiamo a quel leitmotiv, quell’elemento che si percepisce se si osserva e ascolta bene. La cifra narrativa, per così dire, di The OA sta propriro nella profonda, imperfetta, immensa umanità che ritrae in un affresco vario ma dall’unico sottofondo. OA in primis, accanto ad ogni personaggio di questo show, ci fa capire che ciò che muove ogni cosa in questa o in una qualsiasi altra dimensione è proprio l’umanità, che sia essa presente nell’amore che muove Prairie e Homer, nel desiderio ulissiano di conoscenza di Hap o negli sbagli adolescenziali di Buck, Steve, Jesse, Alfonso e BBA, in stasi fino ad ora.
Un finale di certo inaspettato da fa presagire una continuazione nella narrazione di The OA, prendendo una svolta ben diversa rispetto a come era stata condotta la storia di Prairie e gli altri finora, che può diventare un punto a favore o una rovinosa chiusura in base a come verrà condotta.
Valutazione globale - 9
9
The OA 2: un giudizio in sintesi
The OA è un prodotto che è stato sapientemente sviluppato da Brit Marling e Zal Batmanglij sulla base del già eccellente primo ciclo di episodi. Ogni pezzo di narrazione, ogni elemento è stato consapevolmente posto in un ordine armonioso e misterioso, introducendoci ad una dimensione profondamente metafisica e umana che incolla allo schermo.
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