The Fall nella sua terza stagione cambia natura, ma è un passaggio obbligato, perché il thriller con la polizia a caccia del temibile serial killer con la visione di efferati reati non avrebbe più avuto senso di essere. Neppure una riproposizione delle vicende con un diverso contesto sarebbe più potuta essere una cosa interessante. Così, The Fall cambia pelle e si trasforma in una profonda e affascinante analisi dell’animo umano, delle motivazioni del dolore e dei gesti della disperazione. Si trasforma in un’approfondimento su ogni uomo e donna e sul loro essere vittima ancor prima che carnefice.
Mantiene il suo sguardo approfondito sulla condizione umana, ma lo dispiega in una narrazione che sicuramente non sarà adatta a chi ama l’azione, ma che sarà amata da chi brama l’approfondimento psicologico e da chi vuole sentirsi profondamente toccato nelle corde emotive.
The Fall e le vittime
Una chiara esposizione di The Fall è che ogni persona è vittima di qualcosa. Gli indifesi principalmente, come i bambini e le donne, spesso marginalizzate e brutalizzate in un mondo ancora eccessivamente testosteronico. Lo analizza da ogni angolazione, dai bambini vittime di abusi alle donne vittime di violenza, da chi deve portare nella vita un fardello troppo pesante a chi riempie i vuoti dell’animo con altro dolore, fino ad arrivare a chi deve convivere con colpe di riflesso, portando il peso di vite vissute da altri.
E c’è la reazione all’essere vittime che è importante: perché la semplice condizione non può giustificare ogni cosa ed ogni scelta. Alla fine The Fall contiene, in mezzo a tanta miseria, un anelito di speranza: non è necessario riempire il vuoto con la rabbia, lo si può riempire con l’amore, è sempre una questione di scelte, perché ognuno è sempre una vittima di qualcuno o qualcosa, ma è il come si reagisce a cambiare la prospettiva.
Abbiamo Paul che reagisce agli abusi con la rabbia, sua moglie che è vittima di cosa è suo marito che reagisce con la disperazione, troviamo Katie che sublima il dolore per la perdita del padre con un amore malato e la violenza, ma dall’altra parte abbiamo Rose Stag che si aggrappa alla famiglia come ad uno scoglio, Stella che confida nella ragione, poliziotti che confidano nella giustizia.
Perché è sempre una questione di scelte e mai di punti di partenza, spesso diversi ma intimamente uguali, a definire le persone.
The Fall, la sua cifra stilistica
Se i punti forti di questa storia, dal suo inizio, sono una cotruzione che sorprende lo spettatore e le qualità recitative dei protagonisti, come dei comprimari, tutti ottimi, in questa terza stagione viene esaltato un elemento fondante di questa serie, ossia i dialoghi.
I momenti migliori si hanno nei confronti faccia a faccia delle persone, specialmente se c’è Gillian Anderson in mezzo, capace di dare al suo personaggio una profondità espressiva superba.
Andando, comunque, ad esaminare, oltre alle capacità recitative, è ancor di più importante quello che viene detto in questi dialoghi, la componente profonda ed emotiva, che riesce a toccare nell’intimo lo spettatore attento e capace di recepire tutti i messaggi nascosti nel sottotesto. I dialoghi sono tesi e capaci di far porre domande allo spettatore, domande sul modo in cui percepiamo le cose, domande sulla stessa vera essenza ultima delle cose. Ragioni e conseguenze, reazioni e scelte, cosa ci definisce quello che siamo e quanto ancora una parte di umanità sia, non debole, ma spesso facile vittima.
Un ragionamento che vuole, deve, essere anche insegnamento morale.
The Fall, un andamento lento ma un pugno allo stomaco
Perché il pugno non è solamente fisico, per Stella quando lo vediamo arrivare, ma è morale e devastante per tutta la stagione. Siamo di fronte al male, ma ad un male antico, nelle sue ragioni e nelle sue cause, siamo spiazzati da questa deprivazione sensoriale, dal dubbio e dall’annichilimento delle memoria.
Rimaniamo in un limbo dove noi stessi non abbiamo la certezza di quello che stiamo vedendo, sappiamo cosa è accaduto, ma ora vediamo tutto da una possibile nuova prospettiva, del colpevole che “sembra” guardarsi dall’esterno, che non capisce e non si capacita. Non sappiamo per lunghi tratti a chi e a cosa credere e la narrazione, senza colpi di scena prima del finale, ci trascina in una costante domanda e in una commovente visione del dolore in quanto tale, slegato dal rapporto causa-effetto. Parliamo di dolore assoluto, senza poterlo categorizzare in alcun modo.
Lo stesso finale ci lascia spiazzati, è una semplice via d’uscita o la giusta conclusione? Rimaniamo a vedere, in questo ultimo episodio in cui la violenza deborada dai suoi limiti, e siamo trascinati fino a questo post finale in cui rimaniamo spettatori allibiti, sballottati da finali di fiabe che, metaforicamente, ci richiamano ad una realtà che non è quella della visione edulcorata, e ci conducono verso un vuoto di risposte che aleggia sopra il silenzio di una Stella Gibson meditabonda.
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The Fall - Stagione 3
Sceneggiatura
Regia e fotografia
Recitazione
Cambia pelle, ma non la qualità