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Alexandre Landry e Rémy Girard in La caduta dell'impero americano

La caduta dell’impero americano: la recensione del film di Denys Arcand

La caduta dell’impero americano è l’ultimo film diretto da Denys Arcand, nelle sale italiane dal 24 aprile. Il film, presentato al Toronto Film Festival nel 2018, raccoglie nel cast Alexandre Landry, Maripier Morin e Rémy Girard.

La caduta dell’impero americano: la sinossi

Alexandre Landry, Maripier Morin e Rémy Girard in La caduta dell'impero americano

Dopo la laurea in filosofia, Pierre-Paul (Landry) sbarca il lunario lavorando come fattorino. Un giorno si imbatte in una rapina sanguinosa, e si impossessa di due borsoni zeppi di denaro. Incerto sul da farsi, Pierre-Paul entrerà in contatto prima con una prostituta (Morin), poi con un ex fuorilegge (Girard) diventato esperto di finanza mondiale. Con la polizia alle calcagna, i tre compagni di disavventure cercheranno di ripulire il denaro.

La caduta dell’impero americano: le nostre impressioni

Alexandre Landry in La caduta dell’impero americano

In pieno stile-Arcand, La caduta dell’impero americano ha il pregio di coniugare commedia e profondità drammatica, finendo col rivelarsi un’opera godibile e nulla di più. Sarà la fetta di pubblico colto e non più giovanissimo a rispecchiarsi in una trama che tratteggia la sconfortante situazione lavorativa europea contemporanea, quella dei trentenni specializzati in materie umanistiche che patiscono una cronica instabilità lavorativa ed una altrettanto allarmante iper-qualificazione rispetto alle mansioni svolte più per mancanza di alternative che per reale convinzione.  

La caduta dell’impero americano parte così da un’ambientazione piuttosto familiare, descrivendo e modernizzando con amara e sferzante ironia il protagonista dostoevskijano di Memorie dal sottosuolo. L’uomo dotto di Denys Arcand, a causa della superiore intelligenza e dei suoi corollari – consapevolezza, onestà e rettitudine su tutti – parrebbe destinato inevitabilmente a soccombere in un mondo che sembra aver smarrito il senso morale, e che è dominato da idioti e stupidi. Il regista si diverte così a mettere alla prova del fato il colto, maldestro e mite Pierre-Paul, che decide di non voltare le spalle alla fortuna e di approfittare a man bassa della buona sorte. Ovviamente, cercando di non smarrire la sapienza filosofica nella quale si è formato, ed è in questo senso che il film offre gli spunti più divertenti e significativi: un animo che tenta una sintesi hegeliana tra imperativo categorico kantiano, fortuna aristotelicamente intesa e l’amor fati di Marco Aurelio, va incontro a risultati paradossali ed inaspettati, spesso spassosi.

Alexandre Landry e Maripier Morin in La caduta dell’impero americano

A convincere meno, invece, è la complessiva (e facile) polemica con la quale Denys Arcand attacca un mondo improntato ormai irrimediabilmente ad un’etica americana descritta in maniera troppo sbrigativa, monolitica e pressappochista. È ovvio che i poco più di centoventi minuti filmici non costituiscano il luogo d’elezione per un’approfondita critica politica, storica o sociale. Ed è altrettanto palese che lo spettatore stigmatizzi le spietatezze della finanza globale. Eppure, proprio per questo si ha la sensazione che il regista voglia a tutti i costi strizzare l’occhio al suo pubblico, sfondare le porte (già ampiamente aperte) del luogo comune, vincere quasi senza combattere. Ci pare quindi di poter accordare a La caduta dell’impero americano un grado di credibilità non superiore a quello che in effetti merita, trattandosi di un film che si rivela più a suo agio nella descrizione dei paradossi, delle ingiustizie o dei piccoli gesti filantropici quotidiani, piuttosto che nelle denunce di tematiche molto più ampie e complesse.

Non vi è dubbio infatti che Denys Arcand sappia coinvolgere il pubblico a colpi di battute ben congegnate e situazioni esilaranti, sfruttando al meglio lo stereotipato ma convincente personaggio del dotto/inetto, vittima della propria sapienza e del proprio acume. Che poi Pierre-Paul riesca a cavalcare e, in parte, a sfruttare quegli stessi meccanismi finanziari globali che in apertura di film pareva demonizzare, è un risultato del tutto secondario. A lungo andare la narrazione pare perdersi, rarefarsi, entrando, come detto, in un’improbabile traiettoria di denuncia semiseria che fa perdere un po’ di ritmo e mordente al film. Il lento confluire della trama verso questi lidi, unito ad una durata che pare eccessiva, man mano toglie a La caduta dell’impero americano tutta la forza dirompente dei dialoghi che, specie nella prima parte, sono la vera forza trainante del film, tra citazioni colte e riattualizzazioni prosaiche altrettanto ficcanti di massime filosofiche celeberrime.

Maripier Morin in La caduta dell'impero americano

Per una pellicola concettuale, che per forza di cose ha giustamente poco o nulla da offrire sul piano meramente fotografico, sarebbe occorso uno slancio decisamente diverso da parte di ogni singolo attore. La prova di tutto il cast è al di sotto della sufficienza. Alexandre Landry non dà praticamente segni di vita, restando inchiodato alle due o tre espressioni stereotipate da caratterista più che da protagonista. Discorso analogo anche per Rémy Girard, del quale preoccupa non poco l’immobilismo costante che ne caratterizza la recitazione. Infine Maripier Morin, che, bellezza a parte, non ha assolutamente nulla da offrire al film.

La caduta dell'impero americano

valutazione globale - 5.5

5.5

Godibile, un po' sbrigativo nella critica e con una recitazione insufficiente

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La caduta dell’impero americano: giudizio in sintesi

Alexandre Landry in La caduta dell’impero americano

La caduta dell’impero americano coniuga commedia e profondità drammatica in pieno stile Denys Arcand. Il personaggio del trentenne laureato in filosofia, che oscilla tra punte di genialità e abissi di inettitudine, è stereotipato ma comunque divertente. Di fronte alla classica occasione offerta dal fato, la sua posizione e le sue vicissitudini quotidiane offrono al regista le migliori possibilità di far emergere gli spunti più convincenti ed esilaranti, che traspaiono da dialoghi connotati da una sferzante ed amara ironia. Convince meno, invece, la facile e pressappochista critica nei confronti di una società americana che il regista, sbrigativamente, descrive come monoliticamente pervasa da una spietata “etica” finanziaria globale che ignora i poveri, i buoni ed i saggi. A patto di non prendere troppo sul serio la pellicola, La caduta dell’impero americano si rivela un’opera semplicemente godibile, sebbene tenda a perdersi in speculazioni di economia politica che, alla lunga, fiaccano lo spettatore. Negativa, invece, la prova di tutti gli attori del cast.

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About Vito Piazza

Tutto inizia con Jurassic Park, e il sogno di un bambino di voler "fare i film", senza sapere nemmeno cosa significasse. Col tempo la passione diventa patologica, colpa prevalentemente di Kubrick, Lynch, Haneke, Von Trier e decine di altri. E con la consapevolezza incrollabile che, come diceva il maestro: "Se può essere scritto, o pensato, può essere filmato".

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