Il Korean Film Festival di Firenze, ospitato dal cinema della Compagnia, offre all’ultimo spettacolo di mercoledì il lungometraggio di animazione Seoul Station del regista trentanovenne Yeon-Sang-ho. Già veterano del genere con all’attivo una lunga serie di film di animazione e live-action partita nel 1997 con Megalomania, e vincitore di diversi premi nazionali, come il Busan Film festival (2011) come miglior regia per the King of Pigs e il Wildflower film awards nel 2014, stesso premio, per “the fake”.
La trama di Seoul Station
La trama vede una sorta di epidemia di zombies diffondersi nella metropoli di Seoul a partire da un caso isolato che colpisce un senzatetto solito trovare riparo nei pressi della Seoul Station. Tutto questo ovviamente avrà forti ripercussioni su Hye –Sun, una giovane ragazza che vive in una squallida locanda con il fidanzato che non esita a farla prostituire per racimolare i soldi per l’affitto. Più o meno quando l’epidemia comincia a propagarsi irrompe sulla scena il violento Sug-kyu, affermando di essere il padre di Hye-Sun e di voler a tutti i costi ricongiungersi con lei. Sug-Kyu e Ki-Woong, il fidanzato della ragazza si attiveranno per cercarla in un Seoul già infestate di creature minacciose e voraci, con il primo a imporre e a minacciare e il secondo a subire.
Il plot del film sfrutta bene la tematica horror
Quello di Yeon- Sang- ho appare un buon film: bella la grafica e ben congeniato il plot, che sfrutta in modo non banale la tematica horror per dare un sottofondo nichilista al contesto rappresentato, nel quale c’è ben poco spazio per reazioni empatiche trai cittadini nonostante la minaccia che li investe, rappresentata dal proliferire degli zombies assettati di sangue. Rispetto agli horror in carne ed ossa sembra relegato infatti ai margini il lato ludico e splatter del filone zombies, per dare risalto ai connotati psicologici e relazionali che la metafora dello zombie richiama, ovvero l’alterità irriducibile e quindi minacciosa in senso assoluto, il che, ci dice Yeon-Sang-ho, in qualche modo è feconda di analogie con la vita di una metropoli coreana della fine del primo decennio del 2000. Gli stessi protagonisti riescono si in qualche caso a fare breccia nell’individualismo dilagante, ma hanno sempre ben radicato un dark side, come il fidanzato e il padre di Hye-Sun, la ragazza protagonista, o sono reietti e avulsi dalla società, come il senzatetto che si unisce nella fuga alla ragazza e la stessa Hye-Sun, condannata al destino di prostituta.
Ottimo il lavoro fatto con le musiche
Bel lavoro anche sia con le musiche, che vanno dai toni dai toni malinconici all’impeto del riff di chitarra metal che accompagna l’iirrompere della compagnine di zombies, che sulla fotografia, spesso su toni blu e verdi, a denotare la vena crepuscolare del film. I problemi riguardano casomai i sottotitoli italiani che inseriscono parolacce o espressioni gergali dove non ce ne sarebbe bisogno a leggere quelli in inglese e arrivano talora a storpiare il senso delle frasi. Una ragazza coreana alla fine del film fa adombrare inoltre il sospetto che anche quelli inglesi non siano il massimo della fedeltà. Non pare fluidissimo inoltre il modo in cui i personaggi corrono, anzi piuttosto goffo, ma difficile andare oltre essendo la questione molto tecnica.
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Valutazione globale
Un horror abbastanza originale