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Il prigioniero coreano

Il prigioniero coreano – la recensione dell’ultimo film di Kim Ki-duk

Il prigionero coreano è un film del regista coreano Kim Ki-duk, vincitore in passato del Leone d’oro a Venezia con Pietà nel 2012 e dell’Orso d’Argento al Festival di Berlino con La samaritana.

Il prigioniero coreano: la sinossi

La trama vede un pescatore nordcoreano, Nam chu woo, condurre una vita misera in una zona del paese prossima alla Corea del Sud in compagnia della moglie e della figlia piccola.

Il prigioniero coreano

Il destino vuole che il braccio di mare nel quale l’uomo pesca sia posto esattamente al confine trai due stati, cosicché basterà un’avaria al motore della sua barca piccola e spartana per costringerlo a sconfinare in Corea del Sud, paese nel quale vige un sistema politico diametralmente opposto e conflittuale rispetto a quello dello stato che gli ha dato i natali, il che ha già generato in passato una lunga e sanguinosa guerra civile.

Tutto questo finirà per avere pesanti conseguenze per lui, fin dal momento nel quale, arrivato sulla costa straniera, viene prelevato dai militari sudcoreani.

Il prigioniero coreano: le nostre impressioni

Kim Ki-duk realizza un film di grande valore. Cosa si può chiedere di più all’arte quando centra l’unione feconda di significante e significato? Quando apre brecce emotive profonde e stratificate parlando di tematiche assolute, sempre valide al di là dello spazio e del tempo che le circoscrivono?

Il prigioniero coreano

Il prigioniero coreano si dimostra in grado di realizzare tutto questo. E lo fa raccontando alcuni significati basilari della vita: la fedeltà ai propri valori e alla cultura nella quale si è nati, il legame con la famiglia e con il ruolo sociale che ci permette di sopravvivere con dignità all’interno del nostro mondo. Tutto ciò viene distrutto quando il peso dell’ ideologia interviene nell’esistenza di Nam chu woo e pretende che lui si spogli di tutto in suo nome. Su questa radicale e drammatica contrapposizione si gioca l’intero film: quanto più Nam si dimostra umano tanto più ferocemente rischia di essere punito, in un gioco kafkiano e brutale che inquieta e lascia atterriti; sarebbe salvo solo se rinunciasse a sé stesso per diventare un pallido fantasma prono all’angusto ingranaggio che lo ingabbia.

Kim ki-duk non stigmatizza soltanto come sarebbe scontato il terribile regime nordcoreano, ma mette sotto accusa anche lo stile di vita capitalistico della Corea del Sud, svelando come anch’esso aspiri a farsi mondo e quindi a suo modo a vittimizzare l’individuo. Il regista coreano usa uno stile scarno che fa risaltare per contrasto ogni espressione, ogni parola e ogni gesto messo in campo. Inevitabile non pensare ai classici del neorealismo durante la visione di questo film, per come la messa in scena avveniva in essi per sottrazione in modo da dare spazio a personaggi e situazioni e potenziarli fino a renderli iconici, oppure ai film del regista francese Robert Bresson dove pure si aveva qualcosa di simile.

il prigioniero coreano

Con le dovute differenze, la visione de Il prigioniero coreano genera inoltre effetti simili a quelli che si hanno riguardando questi film del passato. Forse perché ci è stato inculcato che il secolo delle ideologie sia stato quello che abbiamo ormai alle spalle, e quindi la realtà rappresentata sembra quasi vintage e relegata ad un’area del mondo drammaticamente in ritardo rispetto a noi.

Ad un esame più approfondito si intuisce però che le cose non stanno così; le ideologie si sono fatte solo più sotterranee e pervasive e quindi si mimetizzano meglio, ma lo scontro tra vita e idea si ripropone con la massima salienza in ogni epoca e ha sempre i suoi vincitori e i suoi vinti.

Il prigioniero coreano

Valutazione globale - 8.5

8.5

Un film di grande valore

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Il prigioniero coreano: giudizio in sintesi

Il prigioniero coreanoKim ki-duk realizza un film di grande valore riuscendo a regalare emozioni profonde nello stesso momento in cui tratta tematiche di rilevanza assoluta.

Colpisce inoltre lo stile scarno ed essenziale de Il prigioniero coreano, con pochi inserti musicali e pochi movimenti di macchina: tutto il film è condensato nei volti, nelle parole e nelle dinamiche che intercorrono, il che permette di raggiungere notevoli vette drammaturgiche.

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About Tommaso Perissi

Scopre la magia del cinema d'autore verso la fine degli anni 90 grazie ad una videoteca vicino alla stazione di santa maria novella che offre titoli ancora in vhs...poi frequenta saltuariamente vari cineforum in giro per la città

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