Das boot, disponibile su Sky Atlantic dal 4 gennaio, è una serie di produzione franco-tedesca diretta da Andreas Prochaska e con protagonista Vicky Krieps.
Das boot: la sinossi
Nel 1942 a La Rochelle, nella Francia occupata dai nazisti, la giovane interprete Simone Strasser (Vicky Krieps) si trova involontariamente coinvolta in un pericolosissimo intreccio spionistico per via del fratello. Costui, imbarcatosi sul sottomarino U612, insieme a molti della sua generazione va a caccia di nemici in mare aperto. La vita dell’equipaggio a bordo, in una guerra tanto spietata, è tutt’altro che semplice. Ma nemmeno Simone, sulla terraferma, è ormai fuori pericolo.
Das boot: le nostre impressioni
Das boot, produzione franco-tedesca basata sui racconti Das Boot e Die Festung di Lothar-Günther Buchheim, si presenta come un vero e proprio sequel del film U-boot 96 (1981) diretto da Wolfgang Petersen. L’ambientazione e lo scenario, così come le tematiche, sono quelli tipici dell’immaginario cinematografico bellico: il senso del dovere militare; il tradimento e la cospirazione, che sono sempre dietro l’angolo; le ritorsioni legate all’insubordinazione; lo spionaggio; e soprattutto la paura, la tensione e tutti i pericoli che attanagliano i giovani arruolati in marina, in isolamento forzato ed intrappolati all’interno dei sottomarini.
Su queste tematiche principali la regia di Andreas Prochaska si presenta abbastanza matura ed asciutta, capace di trasmettere inquietudine sin dalle primissime scene dell’episodio iniziale, quando, con pochi scambi di battute e con una macchina da presa prossima all’immobilismo, Das boot si rivela nella propria essenziale novità. Che consiste, al di là dei classici topoi bellici, proprio nella “componente umana/psicologia” della narrazione. La claustrofobica tensione che si respira lungo gli stretti corridoi dei sottomarini è pari alla sterminata massa d’acqua che circonda da ogni lato gli U-boot, all’interno dei quali i giovani militari sono costantemente sul punto di morire annegati. Sta proprio qui, a nostro avviso, la principale novità poetica di Das boot, che ritaglia un intero asse narrativo che verrà certamente sviluppato nel corso di tutti gli altri episodi. La vita dell’equipaggio sarà sempre più proibitiva, ai limiti della sopravvivenza nervosa e psicologica, oltreché biologica.
La storia di Das boot si snoda lungo due assi narrativi e due luoghi fisici inizialmente ben distinti, ma infine convergenti. Da un lato, come detto, il regista si muove in mare aperto, concentrandosi sulla vita militare sottomarina di giovani uomini soggetti alle costrizioni (non ultime, quelle fisiologiche) della vita subacquea. In secondo luogo, la vicenda si svolge sulla terraferma, dove una serie di protagonisti legati a vario titolo al mondo della diplomazia bellica e dei servizi governativi nazisti si muove in cerca di alleanze, lealtà e tradimenti. Se da un punto di vista emozionale il primo asse narrativo pare quello più innovativo e coinvolgente, pare invece il secondo quello che lascia presagire i maggiori sviluppi. Specie grazie al personaggio interpretato da Vicky Krieps, già magnifica coprotagonista de Il filo nascosto di Paul Thomas Anderson: la giovane interprete Simone, che si presenta come il personaggio più interessante, nel giro di poche scene sapientemente girate si ritroverà ad essere l’ago della bilancia di un gioco di alleanze che travalica i meccanismi interni agli uffici.
Das boot si rivela un’opera abbastanza accurata ed esteticamente gradevole. I costumi, così come le scene in interni dei sottomarini, sono solo alcuni tra gli elementi che risaltano nell’estrema cura formale. Le (poche) scene realizzate in computer grafica non disturbano più di tanto l’occhio dello spettatore, che gode diverse volte di suggestivi scorci nel bel mezzo dell’Atlantico. La fotografia grigia, dal canto suo, è paradigmatica, nella sua capacità di veicolare allo spettatore il clima bellico segnato da incertezza, segreti e manovre sottobanco realizzate per scopi non sempre leciti.
Se proprio dovessimo individuare una nota di demerito – l’unica, in realtà – dovremmo ravvisarla nello stucchevole vocabolario che alberga all’interno delle armate sottomarine. Di là dalla veridicità e plausibilità storica, sulla quale poco può essere rimproverato alla serie di Prochaska, Das boot reitera con inopportuna insistenza una retorica ed una semantica sessuale. A nostro avviso, è ampiamente plausibile che uno spettatore adulto e smaliziato abbia afferrato la similitudine ben prima di quanto si immagini.
La recitazione di Vicky Krieps è senza alcun dubbio tra le note più liete di Das boot. Mai sopra le righe e sempre in parte, affascinante e magnetica: sia nel suo fermo tedesco, che suggerisce un personaggio fermo ed apparentemente ferreo; sia nel suo vibrante e commosso francese, ora disperato, ora quasi poetico. Che la sua prova finisca con l’oscurare quella di qualunque altro interprete, non è altro che una logica conseguenza del carisma di un’attrice che rivela un’eleganza fuori dal comune.
Das boot
valutazione globale - 6.5
6.5
Temi canonici, in una cornice accattivante e claustrofobica
Das boot: giudizio in sintesi
Sequel di U-boot 96, diretto da Wolfgang Petersen nel 1981, Das boot mantiene tutti i canoni tematici del genere bellico: il dovere militare; tradimenti, cospirazioni e sotterfugi di; infine il senso di paura – talvolta di terrore – dei giovani militari intrappolati all’interno dei sottomarini nell’Atlantico, sempre esposti ai missili nemici. La linea narrativa segue due direttrici: da un lato la traccia “marina”, che segue da vicino le storie dei suddetti giovani arruolati in marina; dall’altro, quella “terrestre”, che segue invece il canovaccio canonico del genere spionistico. La fotografia, piuttosto grigia ma non per questo poco accattivante, riesce a veicolare abbastanza bene il clima bellico in cui governano incontrastati incertezza, segreti e manovre sulla soglia della liceità. Ottima la prova di Vicky Krieps, che offusca quella di tutti gli altri interpreti di Das boot.
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