In tempi di isolamento forzato, Intrattenimento.eu vi propone una lista di film da recuperare per esorcizzare questo momento delicato per tutti.
Tutti questi film, in qualche modo, hanno a che fare con un senso di claustrofobica chiusura, e tutti, in diverso grado, spingono a una riflessione sul tema della quarantena.
I PUGNI IN TASCA. Film d’esordio di Marco Bellocchio, che lo realizza nel 1965, il film narra le vicende di una famiglia che vive praticamente isolata nella propria casa del piacentino. Il protagonista è Alessandro (Lou Castel), un giovane ribelle sofferente d’epilessia, che non esce quasi mai di casa, dove si occupa insieme alla sorella della madre vedova e cieca. Solo Augusto, il maggiore dei fratelli, pare avere una vita al di fuori della casa familiare. In una crescente sensazione di claustrofobico conformismo e perbenismo, Bellocchio dipinge con mano talvolta spietata i contrasti familiari, parte dal contesto domestico – come di consueto – per riallacciarsi a più ampie tensioni sociali, che nel microcosmo familiare sono spinte al parossismo. Superata la lezione neorealista, I pugni in tasca sembra tratteggiare lo spirito sessantottino in nuce, regalando al cinema italiano uno degli esordi più folgoranti di ogni tempo.
NODO ALLA GOLA. Dal maestro Hitchcock, un raffinatissimo thriller del 1948 il cui soggetto si basa su un fatto cruento realmente accaduto: l’uccisione di un bambino da parte di una coppia di omosessuali negli Stati Uniti avvenuta nel 1924. La pellicola, che si svolge all’interno dell’abitazione di due giovani che hanno commesso un omicidio, intreccia i topoi del thriller con una realizzazione tecnica notevole, cercando di veicolare l’impressione che si tratti di un unico piano-sequenza. Nodo alla gola si presta a una evidente lettura dostoevskijana: può, l’essere umano che si reputa al di là di ogni morale corrente, essere in effetti immune alle conseguenze delle proprie azioni? Può salvarsi, compiendo un delitto come forma d’arte sui generis?
L’INQUILINO DEL TERZO PIANO. Roman Polański realizza uno dei suoi film più significativi nel 1976, in cui recita nei panni di un giovane, Trelkowski, che affitta un appartamento a Parigi la cui precedente coinquilina, Simone Choule, ha tentato il suicidio. Col passare dei giorni i vicini cominciano a trattare Trelkowski proprio come se fosse la povera Simone, e all’interno delle stanze accadono fatti inspiegabili. Il regista parigino confeziona un’opera estremamente stratificata in cui trovano spazio riflessioni sul tema del diverso e del doppio; enigmatiche dinamiche di veglia e di sogno (o di incubo?); suggestioni autobiografiche e persino meta-cinematografiche, che sfociano talvolta nell’ambito metafisico e che trovano in Kafka il riferimento letterario più immediato.
DOGVILLE. Nel 2003 Lars von Trier, uno dei cineasti più provocatori e sperimentatori, decide di immergere i propri protagonisti all’interno del villaggio di Dogville, che si sostanzia di semplici linee tracciate a terra all’interno di un teatro. Steccati, ruscelli, campanili, muri, stanze: tutto è solo stilizzato a terra. È in questo villaggio che arriva la splendida Grace (Nicole Kidman), donna dal passato misterioso e dall’avvenire funesto. Una volta giunta a Dogville, ella sperimenterà quanto sia difficile lasciarlo, insieme a tutte le sue ipocrite convenzioni, le violenze e il falso perbenismo. Dal sapore chiaramente teatrale di stampo beckettiano, Dogville fornisce al regista danese l’ennesima occasione per sbattere in faccia al pubblico la sua consueta rivolta anti-perbenista, collocata, per l’occasione, in un contesto profilmico che pur essendo concretamente inconsistente, non smette di essere opprimente e insopportabile.
PANIC ROOM. David Fincher sfodera nel 2002 un film molto più che claustrofobico. Jodie Foster interpreta Meg, una madre divorziata che insieme alla figlia Sarah si trasferisce in uno splendido appartamento di Manhattan. Quando tre malviventi fanno irruzione nell’abitazione, le due donne si rifugiano nella panic room, quella stanza blindata e dotata di viveri e acqua che, loro malgrado, custodisce proprio quella somma di denaro che interessa ai ladri. In un crescente clima di oppressione, Fincher tesse una trama intensa e piena di suspense, facendo larghissimo uso di effetti speciali che sembrano guidare la macchina da presa attraverso luoghi impossibili e che amplificano la frustrante sensazione di impotenza.
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