Tredici come gli episodi che compongono la stagione della serie Netflix. Tredici come il titolo italiano (l’originale è 13 reasons why come il titolo del romanzo di Jay Asher da cui è tratta). Tredici come i motivi che hanno spinto Hannah Baker, studentessa di un liceo americano al secondo anno, a maturare una decisione drastica: suicidarsi. Il perché ha deciso di togliersi la vita si trova all’interno di alcuni nastri registrati da lei dove spiega con la sua voce la serie di ragioni che l’hanno portata a compiere quel terribile gesto. Hannah Baker fa nomi e cognomi degli studenti della Liberty High che hanno avuto nei suoi confronti scarso rispetto, derisione, atteggiamenti meschini e persino violenza.
Un episodio, una ragione
Ad ognuno dei tredici episodi corrisponde un lato delle sette cassette ricevute, nel pilot della serie, dal giovane Clay Jensen, compagno di classe di Hannah Baker. Ricevere la scatola contenente i nastri significa che il proprio nome è inserito nella lista dei “carnefici” compilata da Hannah prima di morire. Clay, ancora sconvolto dalla notizia del suicidio, piomba nella disperazione più totale arrovellandosi per capire cosa abbia fatto di male ad Hannah. La narrazione di ogni singolo episodio è raccontata dal suo punto di vista. Clay, al contrario degli altri compagni, non riesce ad ascoltare i nastri tutti insieme. Ci impiega molto tempo, se li ascolta attentamente e cerca di vendicare i soprusi ricevuti da Hannah a modo suo. Ma gli altri, benché scioccati, sembrano voler archiviare la cosa il più velocemente possibile e salvarsi la pelle, come se nel caso venisse a galla tutto le loro colpe assumessero un livello di gravità superiore. Clay si dispera, così, per non essersi accorto del malessere che covava Hannah frenato da un sentimento nei suoi confronti che non riusciva a manifestarle.
Il calvario di Hannah comincia da una foto
La decisione di Hannah di registrare i tredici motivi su un nastro e non in digitale sta lì a significare come l’uso fatto dai suoi compagni di scuola di alcuni strumenti tecnologicamente avanzati come smartphone e tablet siano in parte colpevoli indiretti della sua morte. Una foto fatta a tradimento dal belloccio della scuola Justin a Hannah, durante un momento intimo che li vedeva coinvolti, fa subito il giro di tutti i cellulari degli studenti del liceo. Risatine, prese in giro, derisioni. È solo l’inizio del calvario che vedrà Hannah finire vittima di amicizie tradite, protagonista di stupide classifiche sui più belli e brutti della scuola, promesse infrante, testimone di scene terribili. Hannah, così indifesa e così fragile, non riesce a sopportare il fardello che porta ogni giorno con sé. Sembra che la vita le abbia completamente voltato le spalle, così come hanno fatto con lei alcuni suoi amici.
Adolescenti fragili, adulti incapaci
In Tredici rivestono un ruolo particolarmente importante anche i genitori degli adolescenti dipinti, a ragione, come assenti e incapaci di comunicare (operazione maledettamente difficile) con la prole che ogni giorno indossa la maschera del figlio perfetto quando invece, dietro, si nasconde ben altro. Non dei serial killer o esseri ignobili, sia chiaro, ma bensì degli adolescenti fragili e insicuri e per questo propensi a commettere ingenuità che per qualcuno potrebbero avere un costo salato. Gli adulti, in Tredici, non fanno proprio una bella figura. Non solo per quanto riguarda i genitori ma anche per il preside e lo psicologo della scuola frequentata da Hannah, incerti e indecisi su come ripartire dopo un shock del genere.
Tredici: serie dark, cupa ma necessaria
Tredici non è un teen drama benché i protagonisti siano adolescenti. È una serie dark, cupa, persino con una venatura horror. Ma è anche e soprattutto una serie necessaria se vista proprio da chi si trova in quel momento della vita che segna il passaggio tra l’essere un giovane adolescente a persona adulta. Sì, un età dove regna la spensieratezza, la voglia di spaccare il mondo, la sensazione di libertà; ma anche un età piena di insidie e pericoli. Tredici invita i giovani a non vergognarsi di parlare, di confidarsi con qualcuno quando si avverte un problema e invita i genitori ad essere meno egoisti e più propensi all’ascolto. A volte basta una parola di conforto, solo una, per scongiurare l’irrimediabile. Quella parola che sarebbe servita a Hannah prima di decide di smettere di vivere.
Un pugno dritto e forte nello stomaco
L’ottima costruzione narrativa da parte dei due showrunner della serie ci porta ad assistere attoniti e inermi alla scena del suicidio. Una scena difficile da scacciare via dalla mente, che continuerà a perseguitarci ancora per un bel po’ perché ci viene mostrata dopo aver assistito a tutto il calvario a cui è andata incontro Hannah. L’effetto è quello di un pugno al centro dello stomaco. Peccato per quegli episodi centrali della serie che reiterano lo stesso canovaccio senza particolari avanzamenti della trama. Niente però che possa scalfire una serie dall’enorme impatto emotivo e dall’ottima cura a livello tecnico (non è un caso se alla regia di alcuni episodi c’è, oltre a Tom McCarthy, il regista indie Gregg Araki che con i problemi legati all’adolescenza ci ha costruito quasi un’intera carriera). Ci sarà una seconda stagione? Secondo Selena Gomez, produttore esecutivo della serie, se ne potrebbe parlare. Secondo il sottoscritto, forse, si potrebbe chiudere qua per non perdere il senso di tutta l’intera operazione, sebbene alcune trame siano state lasciate in sospeso.
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Valutazione globale
Un pugno allo stomaco forte ma necessario
Leggere prima il libro o vedere prima la serie tv?
Ciao Luca. Non so consigliarti sul libro perché non l’ho letto. So però che la serie è molto più approfondita del libro.