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Black Mirror: Bandersnatch: la recensione del film interattivo

Voci su voci si sono rincorse in merito a questo attesissimo, e in parte inaspettato visto il poco preavviso, episodio di Black Mirror intitolato Bandersnatch. Quando il titolo è apparso nella programmazione Netflix di dicembre, c’è chi ha pensato fosse uno scherzo, chi lo ha preso per un episodio di una nuova stagione, chi si limitava a credere che fosse una sorta di speciale natalizio. E invece no. David Slade e Charlie Brooker hanno creato quello che forse è uno dei prodotti più coinvolgenti e interessanti degli ultimi anni, dove sono stati in grado di darci l’illusione di aver libertà di scelta con un episodio dove a “decidere” le sorti del protagonista è proprio lo spettatore.

Black Mirror: Bandersnatch: la trama

BandersnatchSiamo nell’Inghilterra del 1984: Stefan Butler (Fionn Whitehead) è un giovanissimo ragazzo che sta progettando un gioco interattivo chiamato Bandersnatch sulla base dell’omonimo romanzo scritto da Jerome F. Davies, autore alquanto controverso. Deciso a far produrre il suo gioco, Stefan lo presenta alla Tuckersoft, dove lavora il famosissimo programmatore di videogiochi Colin Ritman (Will Poulter). Qui si presenta la prima scelta: difatti, se lo spettatore facesse accettare l’offerta della società di progettare il gioco in ufficio, l’episodio ricomincerebbe daccapo, mentre scegliendo di rifiutare Stefan continuerebbe a programmare Bandersnatch da casa. Ciò estranea sempre di più Stefan, sotto cura in seguito al trauma della morte della madre, scomparsa in un incidente ferroviario in cui si è trovata coinvolta poiché Stefan non voleva lasciarla andare. Il bambino difatti stava cercando il suo pupazzo, nascosto dal padre Peter (Craig Parkinson). Il delirio di Stefan è sempre più profondo e grave, anche a causa di alcuni bug presentatisi durante le fasi finali della programmazione di Bandersnatch, facendolo immedesimare con Davies. In un crescere di violenza, lo spettatore è chiamato a fare più scelte, aprendosi la possibilità di accedere fino a 7 finali distinti.

Black Mirror: Bandersnatch: le nostre impressioni

Fionn WhiteheadBlack Mirror: Bandersnatch rappresenta quello che potrebbe diventare la serialità nei prossimi anni: seppur non completamente nuovo come concetto, l’idea di essere i controllori del destino altrui, sensazione puramente illusoria, è appagante e crea dipendenza. Chi di voi ha già visto il film non è tornato più e più volte indietro per scoprire i finali possibili? Ma soprattutto, siete sicuri che fosse dovuto solo alla curiosità, o invece siete stati spinti da una sorta di desiderio di controllo? Questa è una riflessione a cui sono giunta solo dopo aver riflettuto “a freddo” su questo nuovo tipo di narrazione, così autoreferenziale e contorta da potersi permettere di ignorare il legame tra fabula e intreccio, sospensione dell’incredulità e linearità.

Ma siamo sicuri di esser stati completamente liberi nella nostre scelte? Siamo stati messi davanti a un semplice bivio, opzione 1 o opzione 2, così come succede nel videogioco Bandersnatch. Due semplici opzioni per scegliere del destino altrui, creando combinazioni di eventi, facendoci diventare coloro che secondo Stefan controllano le nostre menti, avvelenano il cibo, spingono verso certe scelte invece che altre. Tutto questo in meno di 10 secondi. Lo spettatore è coinvolto a 360°, in un labirinto mentale pericoloso e perturbante, mettendo in discussione le scelte prese in precedenza e lasciando sempre la sensazione di aver sbagliato qualcosa. Non è facile scrollarsi di dosso questo pensiero, così come lo è pensare che in realtà tutte le scelte siano state immaginate e programmate da una sorta di “Grande Fratello”, onnisciente e implacabile.

Le scelte da fare, che rappresentano dei veri e propri bivi narrativi, spaziano dal tipo di cereale da mangiare a colazione alla cassetta da ascoltare sull’autobus, fino allo scegliere fra sacrificare o no una vita umana. Indipendentemente dalla loro importanza, queste aprono scenari diversi e, una volta prese, scatenano una concatenazione di eventi, previsti e registrati in ben più di 5 ore di ripresa dal cast e dalla regia, dimostrando anche una cura nella sceneggiatura che raramente si vede ma che è tipica del franchise di Black Mirror.

Lo spettatore perciò, sebbene sia costretto a seguire una narrazione che come è già stato detto è tutto fuorché lineare, si addentra in una molteplicità di scenari e di conseguenza finali, 7 totali, che possono essere sbloccati in toto o meno (la sottoscritta, per esempio, ne ha visti 5), finché i titoli di coda non bloccano la narrazione. Tuttavia, se soddisfatti di ciò che si è visto dopo un finale o due, si può andare direttamente alla fine. La libertà sembra essere pressoché totale, e l’episodio può durare mediamente da quaranta minuti a un’ora mezza, quella che sembra essere la durata standard pensata da Slade e Brooker indipendentemente dall’aver sbloccato o no tutti i finali.

Una scena di BandersnatchTutto in Black Mirror: Bandersnatch è plasmato e ideato per supportare la complessità della narrazione, dagli ambienti agli elementi caratterizzanti il periodo degli anni Ottanta, dalle pubblicità ai costumi alla musica (trait d’union, questa cura del dettaglio, con le stagioni dello show). In base all’opzione scelta, muta il linguaggio, rendendo la sceneggiatura una sorta di creatura cangiante, mutevole. Ogni singola parola è curata, studiata, e anche la più insignificante diventa rilevante se si riesce a coglierne il suo ruolo in una sorta di “sottonarrazione”, una metanarrazione che va oltre alle apparenze e risulterà utile, in alcuni casi, davanti ai bivi che presenta Black Mirror: Bandersnatch. Il coinvolgimento dello spettatore lo rende “responsabile” per i personaggi, mettendolo in difficoltà e scatenando senso di colpa per le pieghe che alcune scelte possono prendere. Lo spettatore oscilla senza mai fermarsi tra coinvolgimento e distacco, rendendo la narrazione ancor più coinvolgente.

L’unica pecca di questo Black Mirror: Bandersnatch, se così vogliamo definirla, è l’assenza della tematica centrale del franchise Black Mirror, ovvero la critica non tanto alla tecnologia quanto all’utilizzo che se ne fa o che se ne potrà fare. D’altronde però, criticare lo sviluppo tecnologico in un episodio come questo, che basa la sua efficacia proprio grazie all’espediente dell’interattività data dalla tecnologia, sarebbe stato incoerente.

Black Mirror: Bandersnatch

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Narrativamente complesso e innovativo

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 Black Mirror:Bandersnatch: un giudizio in sintesi

Black Mirror BandersnatchIl labirinto mentale che si crea in questo Black Mirror: Bandersnatch è complesso, intricato, assolutamente non lineare, e il cogliere i piccoli dettagli diventa il filo di Arianna con cui orientarsi. Tuttavia, lo spettatore è costretto ad accettare che l’apparente logica delle sue scelte è solo un’illusione, così come lo è il libero arbitrio con cui decide delle sorti dei protagonisti. L’autoreferenzialità dei dettagli, che allo stesso tempo risultano curati e verosimili, la sceneggiatura mutevole, tutto contribuisce a rendere Black Mirror: Bandersnatch un prodotto che colpisce, portando il pubblico a riflettere sulla portata delle conseguenze delle proprie scelte, a discapito di quella componente aspra di critica alla tecnologia presente nelle stagioni del franchise. Il terrore di non essere padroni della propria vita è un sentimento che è insito in ognuno di noi, così come lo è il senso di onnipotenza che suscita il decidere delle vite altrui, e questo tipo di narrazione va a stimolare entrambe le possibilità.

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About Ilaria Coppini

25, ormai laureata in Letterature e Filologie Euroamericane, titolo conseguito solo per guardare film e serie TV in lingua originale (sulle battute ci sto ancora lavorando). Almeno un'ora al giorno per vedere un episodio la trovo sempre, e Netflix è ormai il mio migliore amico. Datemi del cibo e una connessione veloce e scatenerete la binge-watcher che è in me.

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