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Maciej Musiał in 1983

1983: la recensione della serie polacca targata Netflix

1983 è il titolo della prima serie polacca disponibile su Netflix dal 30 novembre. All’esordio alla regia, Joshua Long.

1983: la sinossi

Michalina Olszanska in 1983Polonia. 2003. La cortina di ferro divide ancora l’Europa, e nel paese il Partito ha instaurato un regime poliziesco spietato. Foraggiata dall’Unione Sovietica, la classe dirigente reprime ogni dissenso, costringendo i ribelli alla guerriglia urbana: la stessa che, nel 1983, aveva fatto centinaia di vittime per via di alcuni esplosivi piazzati nelle maggiori città polacche. Le vite di Kajetan, uno studente di giurisprudenza ingenuamente idealista, e quella di un poliziotto navigato ma ormai caduto in disgrazia, si incrociano sulla strada di quello che sembra un suicidio. La loro collaborazione li porterà fino ad oscuri segreti, capaci di mettere in discussione l’ordine costituito.

1983: le nostre impressioni

È chiaro sin dalle prime immagini che l’orizzonte semantico ed immaginario di 1983 è quello distopico: l’immancabile omaggio a 1984 di Orwell è una citazione fin troppo ovvia. I binari sui quali si muoveranno tutti gli otto episodi sono chiaramente impostati su una sostanziale dicotomia. Da un lato l’Ordine: imposto dal Partito, menzognero e solo illusoriamente efficace, responsabile della morte di tanti giovani aspiranti alla verità (che si rivelerà essere nient’altro che la porta d’ingresso alla libertà). Dall’altro il magmatico ribollire del dissenso dei ragazzi dell’Armata Leggera, guidati dalla giovane Ofelia (Michalina Olszanska), che si presentano come i depositari dell’anima della nazione, dei suoi valori civili e politici.

Robert Wieckiewicz in 1983A complicare il quadro la figura del protagonista, Kajetan (Maciej Musiał). Figlio dei martiri del 1983, forse morti per via degli attentati terroristici causati dai ribelli, e fidanzato della figlia del Primo Ministro, egli sarà il “corpo politico” sul quale si combatterà la vera lotta: o la liberazione, o la capitolazione definitiva. È proprio la figura di Kajetan ad essere la chiave di volta di 1983, perché la sua storia è custode di meccanismi di potere potenzialmente esplosivi per il regime polacco. Del resto, come nella miglior tradizione distopica, nulla è mai realmente ciò che la politica lascia intendere. Tutto il racconto di 1983 è focalizzato dunque su Kajetan, corpo conteso tra le fazioni in lotta ed incarnazione del destino polacco. Interessante, in tutto il meccanismo narrativo, la figura del poliziotto interpretato da Robert Wieckiewicz, che giocoforza si troverà a dover svegliare il giovane studente da ingenue e semplicistiche convinzioni politiche.

All’interno di 1983 Joshua Long opta per un montaggio parallelo scolastico e ben cadenzato, suggerendo da subito che i sanguinosi fatti del 1983 abbiano molti collegamenti e ripercussioni con quelli contemporanei. In questo modo il climax narrativo risulta in generale convincente, anche se non sempre armonico o lineare. Lo sforzo richiesto al pubblico non è indifferente. Non tanto per questo continuo rimbalzo tra presente e passato, ma soprattutto a causa dell’allargamento progressivo dei protagonisti in gioco e delle tematiche in ballo. Col procedere degli episodi, compariranno generali dell’esercito che tramano contro il Partito; un Primo Ministro che ha misteriosi legami con personaggi venuti dall’estero; rappresentanti di Israele, giunti in Polonia per rovesciare il regime.

Michalina Olszanska in 1983È quindi abbastanza palese che la trama non si possa concludere all’interno di un’unica stagione, ma ad un certo punto gli elementi in gioco, le sottotrame ed i protagonisti danno vita ad un intreccio a volte troppo macchinoso e poco fluido, quando non apertamente confusionario. Un vero peccato, dal momento che 1983 si regge benissimo sulle proprie gambe fino al momento in cui i personaggi coinvolti restano quelli all’interno dei confini nazionali. A nostro giudizio, è quindi proprio la prima parte della serie ad essere molto più avvincente della seconda. Joshua Long attualizza la dinamica orwelliana del controllo pervasivo, adattandola ad un contesto iper-tecnologico nel quale i giovani vengono spiati nelle loro conversazioni quotidiane. In questo è facile scorgere un certo intento critico nei confronti dei più giovani: sempre intenti a comunicare, ma – amaramente –mai intenti a comunicare di autentica libertà, di necessaria rivoluzione.

Decisamente squilibrate risultano, purtroppo, le interpretazioni fornite dai tre protagonisti principali. Robert Wieckiewicz infatti, dall’alto della sua esperienza, giganteggia per carisma in mezzo ad un cast davvero poco entusiasmante. Il personaggio di Maciej Musiał risulta a tratti stucchevole, nella sua fastidiosa ingenuità. Quello della ribelle Ofelia, cui presta il volto Michalina Olszanska, è difficilmente credibile, data la quasi costante inespressività.

valutazione globale - 5

5

Inizio promettente, ma sviluppo eccessivamente confusionario.

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1983: giudizio in sintesi

Maciej Musiał e Michalina Olszanska in 1983In un futuro distopico di chiara matrice orwelliana, il regista Joshua Long sceglie di narrare la storia e le vicende di un regime oppressivo e pervasivo. Nel corso dei primi episodi l’idea dei giovani polacchi ribelli risulta accattivante e ben descritta, con una suspense che cresce grazie ai piccoli misteri ed agli indizi misteriosi sapientemente dispensati. Man mano che la serie procede, tuttavia, i personaggi in gioco risultano davvero troppi, e tutto va a discapito dell’intera serie, che sembra smarrire l’obiettivo iniziale. Questa crescente sensazione di confusione finisce per intaccare anche gli spunti di riflessione più validi disseminati nelle fasi iniziali di 1983, come ad esempio il rapporto tra giovani, impegno politico ed illusoria libertà data da mezzi di comunicazione portatili. Nel cast, solo Robert Wieckiewicz riesce a riscattarsi da una complessiva mediocrità.

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About Vito Piazza

Tutto inizia con Jurassic Park, e il sogno di un bambino di voler "fare i film", senza sapere nemmeno cosa significasse. Col tempo la passione diventa patologica, colpa prevalentemente di Kubrick, Lynch, Haneke, Von Trier e decine di altri. E con la consapevolezza incrollabile che, come diceva il maestro: "Se può essere scritto, o pensato, può essere filmato".

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