The Get Down è il nuovo esperimento di Netflix, canale che sperimenta già molto di suo, ed è per questo che si è affermato come uno dei leader di mercato, quantomeno a livello artistico. E per sperimentare chi poteva esserci di meglio di Baz Luhrmann?
Il poliedrico regista aveva già spinto sull’acceleratore del “diverso” all’epoca di Romeo + Giulietta, per poi riportare, ante litteram, in auge il film musicale, costruito in un modo molto personale, con Moulin Rouge. E la musica non poteva mancare in questo passaggio televisivo del cineasta australiano che ci porta in una New York al collasso, dominata dalle bande, pervasa dalla corruzione e nel momento in cui la musica disco arriva al suo apogeo e inizia il suo declino.
Luhrmann è da sempre un poeta delle periferie degradate, del disagio umano e qui porta come sua proiezione sullo schermo un poeta metropolitano, un paroliere che simboleggia la nascita di una nuova musica e della speranza in un era migliore in un momento di disperazione.
Where There Is Ruin, There Is Hope for a Treasure
La descrizione delle rovine è affascinante, l’immersione nel panorama urbano distrutto è intensa, costruita con la sapienza di immagini d’epoca (e l’inserimento “cameo” anche di una scena de I Guerrieri della Notte) e scene di girato che a volte usano una tipologie d’immagine “d’epoca” a volte una tipologia moderna. Ci troviamo quindi con lo spaesamento che vuole essere un tramite per portare lo spettatore a creare un legame con la storia.
Una gran capacità, un lavoro certosino che testimonia la grande capacità artigiana di un cineasta come Luhrmann. E poi c’è l’altra grande arte del regista australiano: la musica
Musica e non un musical
Perché a differenza di Moulin Rouge questo non è un film musicale, ma un film in cui la musica è parte integrante ed elemento vivo. La musica è parte della trama, è il filo che lega il tutto. La musica è un ossessione ma è anche una speranza di riscatto, la porta di uscita dal ghetto, un momento per rinascere e un momento per morire. Un momento per esibire la propria boria o un modo per tirare fuori la propria rabbia. Aleggia su tutto ed è spesso presente, ma la si sente integrata, non si potrebbe immaginare questo show senza, ma non è lo show, non è la storia, è solo il mezzo per raccontare quello che sta a cuore al regista, ossia il Tesoro che si nasconde tra le Rovine, il riscatto, la rinascita.
I personaggi, i protagonisti di The Get Down
A completare il tutto c’è uno strano cocktail nel quale gli attori più famosi (Giancarlo Esposito, Jimmy Smits) sono carratteristi, mentre i protagonisti sono attori semi sconosciuti. Ma il risultato è brillante, i personaggi sono ben delineati, pieni, trasudano tutto il loro essere e in alcuni momenti risultano drammaticamente intensi. Gli attori in palla non sbagliano e il trascorrere del tempo in questo lungo pilot (ben 1 ora e 33) si fa lieve e fluido, tanto che non ci si stanca mai, non ci si annoia mai, non ci sono tempi morti, è tutto perfettamente incastrato. Un plauso ai due protagonisti principali, i giovani Justice Smith e Herizen Guardiola, che hanno la freschezza e l’intensità che Luhrmann riuscì a tirare fuori nella coppia Di Caprio – Danes di Romeo + Giulietta.
Un invito a seguirlo per chi ama il regista australiano perché ritroverà tutte le sue atmosfere e i suoi modi, ma anche per chi ama la televisione intensa e mai banale.
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