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Peterloo, il dramma storico di Mike Leigh a Venezia: perché sì e perché no

Arriva durante la terza giornata della mostra del cinema l’anteprima di Peterloo, il dramma storico diretto da Mark Leigh, con Rory Kinnear, Maxine Peake e Neil Bell, in concorso all’interno di Venezia 75.

Peterloo: la sinossi

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All’indomani della disfatta di Napoleone a Waterloo, nell’Inghilterra vincitrice la situazione politica è tutto fuorché tranquilla: tra problemi sociali, malcontento diffuso, sfruttamento delle classi operaie e un acceso dibattito politico, nel 1819 viene organizzato un raduno pacifico e pro-democratico a St. Peter’s Field a Manchester. Si tratta di uno degli episodi più tristemente noti della storia britannica, passato alla storia come il massacro di Peterloo, durante il quale i manifestanti vennero ferocemente caricati. Il film racconta le fasi che hanno portato all’organizzazione del raduno.

Peterloo: perché sì, a cura di Mirko Ballone

PeterlooE’ necessario premettere che Peterloo è un progetto ambizioso, ostico e di non facile visione. Mike Leigh ci fa seguire le storie di svariati personaggi all’interno dei fatti che hanno anticipato il massacro di Peterloo, costruendo un affresco storico e sociale sugli abitanti del Regno Unito dei primi dell’Ottocento. Le storie si intersecano, in modo estremamente dettagliato e danno un’idea concreta su un’aristocrazia sempre più avulsa dal suo contesto storico, una borghesia intenta a mantenere anacronistici privilegi ed un proletariato oppresso ed in cerca di riscatto.  Ogni scena, giustapposta od in contrasto alla precedente è funzionale all’esplicitare le posizioni e le differenze di status, ideologie e cultura. Un interessante spunto viene offerto dai numerosi comizi e dalle numerose interazioni fra i rappresentanti dei radicali da cui si può riflettere sulla naturale ambizione personale ed i personalismi nei gruppi che si pongono obiettivi universalistici.

Peterloo, in questo senso, è un film molto più attuale di quanto la trama non faccia pensare. Leigh si interroga sul significato di democrazia, sull’eterna lotta fra chi detiene il potere e chi è in condizioni di disagio oltre che sul modo di fare politica. Il tutto viene confezionato con estrema maestria, in modo scenograficamente imponente e storicamente accurato, costruendo inquadrature ampie come tele pittoriche.

In definitiva ci troviamo di fronte ad un’opera tecnicamente ineccepibile che racconta una delle pagine più importanti (e meno conosciute) della storia del Regno Unito, con un sottotesto importante. L’unica pecca che possiamo trovargli è un’estrema lunghezza, una certa tendenza alla prolissità, che castra emotivamente una scena finale altrimenti perfetta.

Peterloo: perché no, a cura di Bianca Friedman

Nonostante vi siano aspetti estetici apprezzabili, come la fotografia che rende omaggio alla campagna inglese e alla provincia britannica, l’intento del film di analizzare i diversi punti di vista, le sfumature delle correnti ideologico/politiche e di ripercorrere le tappe che hanno portato ad uno dei capitoli più dolenti della storia del Regno Unito risulta troppo pedante e prolisso. L’ammirevole sforzo di ricostruire i preamboli, le rielaborazioni degli eventi, la manipolazione mediatica condotta “dai piani alti” della società a scapito di un popolo oppresso, sfruttato e non rappresentato in parlamento in questo caso si addice purtroppo più ad un saggio storico che a un film narrativo.

PeterlooPer carità, indiscussa l’importanza quasi didascalica di un film di questa natura, specialmente alla luce del deprimente quadro politico attuale, ma un’operazione del genere deve tener conto che non tutti gli spettatori siano in grado o disposti a sorbirsi più di due ore e mezza di arringhe, dialoghi e orazioni fatte da ogni personaggio che si palesi in scena. La retorica e la prosodia inglese sono sicuramente apprezzabili, ma non in un film di tale lunghezza che non propone altro che ciò. Incredibile, a tal proposito, che ad eccezione di alcuni personaggi particolarmente subalterni, ogni persona sullo schermo sia in grado di tenere un discorso in un inglese mediamente forbito, per almeno cinque minuti ciascuno (quando va bene): tutti allievi di Shakespeare?

Un peccato, insomma, perché l’intento di inserirci con precisione nel contesto storico e socio-politico deve purtroppo fare i conti con la sovrabbondanza e la ridondanza di molti discorsi. Troppe, troppe scene di solo parlato, troppe scene che invece di fotografare il contesto rurale risultano essere un intervallo folklorico mal riuscito, troppi personaggi abbozzati con cui non siamo in grado di empatizzare nel momento in cui avviene il – per lo spettatore – tanto atteso, fatidico massacro, e soprattutto troppo poco ritmo. La materia è importante, ma va gestita in modo da essere più fruibile e apprezzabile agli occhi di uno spettatore che, nella maggior parte dei casi, non è anche uno storico anglista.

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