In una domenica al Lido piena di ottimi film arriva con La Quietud la conferma del talento del regista argentino Pablo Trapero che già aveva incantato la manifestazione veneziana tre anni fa con El Clan, film che giustamente si era portato a casa un Leone d’argento (meritando, a giudizio di chi scrive, anche di più in quell’edizione, vinta da un poi dimenticato Desde allà).
La Quietud: la sinossi
Eugenia (Bérénice Bejo) torna alla finca di famiglia, in Argentina, a seguito dell’ictus capitato all’anziano padre e si ritrova immersa nella quotidianità dei rapporti con la madre (una superba Graciela Borges) e la sorella Mia (Martina Gusman).
La presenza del marito di Eugenia (Vincent) e di Esteban, un amico di famiglia, faranno riemergere tensioni, complicità, segreti e tragedie, con un sottofondo di un rapporto familiare complesso e intenso tra le tre donne, forti, determinate e con delle debolezze e delle fragilità inespresse che alla lunga non potranno che venire a galla.
La Quietud: le nostre impressioni da Venezia 75
La quietud, è un film che nasconde in uno scenario di quiete un’inquietudine profonda, è un film che colpisce, lo fa con durezza nei momenti in cui meno te lo aspetti, è un film che osa, che sposta l’asticella dei rapporti umani fino ad un limite della sopportabilità o fino ad un apice di condivisione e amore.
Ci siamo trovati davanti un film che sorprende, navigando tra la versione iperbolica dei rapporti umani, portandoci all’estremo per poterne vedere la natura profonda: del sentimento, della frustrazione, della debolezza e del dolore; è un film che si immerge e ci immerge così a fondo in una storia che è così vicina e così aliena, da farci sentire ogni singolo colpo quando arriva, da lasciarci i segni, le cicatrici.
La costruzione di un racconto del genere, passa per le mani sapienti di un regista di grande livello come Trapero e dalla recitazione di un ottimo cast, sia nelle figure delle sorelle (Bejo e Gusman), sia grazie ad una strepitosa Graciela Borges, un attrice argentina iconica, che ci ritorna una madre di un’intensità strabordante che riesce a farci passare, noi pubblico in balia di questa corrente, attraverso sentimenti così contrastanti nei suoi confronti, dal disprezzo, alla compassione, alla pietà.
Tutta la costruzione de La quietud ci porta costantemente su delle montagne russe emotive, passando da momenti di divertimento e convivialità a situazioni in cui la carica erotica e passionale la fanno da padrone, piombando improvvisamente dentro a dolori e segreti profondi e saltando dalla dimensione intima a quella più “storica” in un Paese, come l’Argentina, dalla memoria complicata e non condivisa, un Paese che ha cicatrici come le ha questa famiglia.
Ma la famiglia resta sempre il centro del racconto di Trapero, come ne El Clan, sia come concetto intimo, sia come visione metaforica della società, una famiglia dove convivono amore, odio, tensione, distanze e tradimenti, una famiglia sudamericana, fatta di passione, fatalismo e speranza. Uno sguardo intimo e uno sguardo all’esterno che combaciano e coincidono in una pellicola che va sicuramente vista.
La Quietud
Valutazione globale - 8
8
una storia intensa, emozionante, dura
La Quietud: dichiarazioni e curiosità da Venezia 75
Pablo Trapero, uno dei registi argentini moderni più iconici e capaci, incredibilmente snobbato da buona parte della stampa del Lido, nonostante la vittoria soli tre anni fa del Leone d’Argento, si presenta in conferenza stampa circondato dalle due bellissime (e somigliantissime) protagoniste Bejo e Gusman.
La somiglianza in effetti, ci svela il regista, è stata una caratteristica importante nella scelta del cast, visto che Trapero aveva in mente questo film su due sorelle, e l’effetto sullo schermo è incredibile, tanto da, grazie ad alcune scene poco illuminate, portare lo spettatore a sforzarsi per capire quale delle due sorelle fosse in scena.
Passando ad argomenti più seri, il regista argentino, pur sottolineando le differenze di struttura, ha affermato che questo film potrebbe benissimo essere visto insieme a El Clan, ritenendolo da un certo punto di vista complementare allo stesso, portandoci più sul lato femminile della barricata ma mantenendo gli elementi di “famiglia” e di “debito della memoria” del suo Paese.
La Bejò ha raccontato che, essendo lei di natali argentini, avrebbe sempre voluto fare un film nel suo Paese con un regista argentino, e quando è stata chiamata da Trapero ha accettato subito la proposta, senza avere ancora una sceneggiatura in mano, pur essendo in attesa di una risposta da una produzione che avrebbe sviluppato un film che doveva andare a Cannes.
L’attrice ha sottolineato il suo senso di spaesamento, dovuto al reimmergersi in una realtà che aveva vissuto molto marginalmente (era andata via dal Paese all’epoca della dittatura) e dal recitare in lingua spagnola, ma confermando anche che quel senso di smarrimento era qualcosa che il regista voleva per lei.
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