Finalmente è arrivato in America, e grazie a Sky Atlantic HD anche in Italia in contemporanea, la nuova creatura di Johnatan Nolan, Westworld, e il primo impatto è decisamente positivo, anzi, molto di più, è intrigante, angosciante, tecnicamente entusiasmante, in poche parole: una serie che è un delitto perdere.
Westworld è molto di più di un luna park in cui vengono sfoggiati androidi molto simili all’essere umano, tanto da sembrare realistici. Sicuramente è molto di più di un posto dove possono essere sfogate le passioni degli umani che una società spinta all’eccesso ha tramutato in “cacciatori” di emozioni forti.
Questo show è una profonda riflessione sulla stessa natura umana e sulla società. Cosa ci spinge a valicare ogni limite, sia che si sia un fruitore del “divertimento”, sia che si sia il creatore di un nuovo tipo di Essere? Cosa contraddistingue la nostra vita da quella simulata se non la consapevolezza? Quali sono gli interessi nascosti che si celano dietro un semplice esperimento ludico? E cosa può succedere quando la coscienza di ciò che si è viene a bussare alla nostra porta?
Tante domande, tanti spunti che vengono lanciati in un primo episodio che ha la funzione primaria di calare lo spettatore nello scenario, e lo fa molto bene, ma che riesce anche a creare quella tensione e quella curiosità che ci legano indissolubilmente ad un racconto.
Westworld, dove siamo
Innanzitutto veniamo alla fase introduttiva: Westworld ci porta a scontrarci da subito con un androide estratto dal suo ambiente, Dolores, interpretata da Evan Rachel Wood, per mischiare le prime domande che le vengono poste con le sequenze di questo western all’apparenza estremamente realistico.
La serie non sceglie la strada dell’introduzione graduale, sarebbe stato sciocco, visto che il pubblico era già conscio dello script, ma ci porta direttamente a conoscere entrambe i mondi, quello “dentro” e quello “fuori” e a vedere come interagiscono, quanto capillare e minuziosa sia la gestione, quanto cruda e lussuriosa possa invece essere l’attività del finto West, quanto la natura del visitatore sia altalenante tra il curiosamente divertito, il patologico o il terribilmente violento.
L’effetto è quello di una valanga di informazioni che ci viene scaricata addosso, ma il tutto risulta, seppur complesso, fruibile: riusciamo a vedere i tasselli di questo mosaico che si compongono e, anche se, saggiamente, non tutto viene spiegato, vediamo nascere quelle linee narrative che porteranno a forze che si contrappongono all’interno e all’esterno del mondo “immaginario”. E questo ci porta a costruirci una serie di aspettative che, poi, la serie speriamo sia in grado di soddisfare.
Westworld, cosa ci vuole dire
I temi, al di sotto della trama più lineare e alla narrazione più avventurosa, sono molteplici e in parte ne abbiamo già accennato. Si indaga innanzitutto, come c’era da aspettarsi, sulla natura umana; ma non solo quella degli androidi, quando smettono o iniziano a smettere di essere semplici macchine, ma soprattutto su quella del genere umano che sta al di fuori del parco. Ogni personaggio coinvolto ha una sua agenda, che sia il visitatore o che sia uno degli addetti ai lavori. Il confrontarsi con qualcosa che è diverso da se e, per definizione culturale, inferiore, non essendo senziente, porta l’uomo ad esasperare la sua natura, sia nella perfidia, sia nel delirio di onnipotenza.
La figura del “creatore” interpretata da Anthony Hopkins, è sicuamente nodale e si inizia a leggere in lui qualcosa di più che un semplice brillante inventore. Quando l’uomo, come lui dice, arriva alla fine del suo limite di invenzione, scoperta e creazione, non gli rimane che un solo passo, che non viene menzionato, ma che è chiaramente intuibile: dare la vita, ma quella vera, ad una nuova specie, osservarne i primi passi.
Ma ci sono interessi diversi: da chi vuole fare soldi a chi si compiace della minuzia del proprio lavoro, da chi è preoccupato da quello che vede a fantomatici azionisti che non si sa cosa realmente vogliano.
La questione della presa di coscienza di questa nuova forma di vita, invece, è sola accennata, da piccoli difetti, da comportamenti inusuali: tutto non può che portare ad un graduale “risveglio” e, quando un essere vivente (umano o sintetico) prende coscienza di sé, può solamente voler andare oltre.
Questo lo iniziamo ad intuire nella magnifica scena del confronto che avviene nel finale del primo episodio e che promette scintille per i prossimi.
Westworld, della fattura e recitazione
Qui siamo sicuramente a livelli veramente elevati. La qualità di ripresa e di montaggio sono assolutamente a livello cinematografico, come la gestione del ritmo e la fotografia. Nessun dettaglio è lasciato al caso, così come nella finzione per la gestione del parco, anche nella realtà per la gestione di questa serie televisiva che del televisivo classico (anche se ormai la cosa si è diffusa) ha molto poco.
Il cast era annunciato come stellare, ma c’è da dire che tutti sono in forma splendida. Hopkins recupera una profondità e una verve che in alcuni degli ultimi film aveva perso, forse per carenza di copioni validi, mentre Ed Harris per ora ha una caratterizzazione non troppo approfondita e quindi il giudizio va un po’ rimandato, anche se la classe c’è.
Chi è da applaudire in questo primo episodio è sicuramente Evan Rachel Wood, soprattutto per la facilità con cui cambia registro nelle differenti situazioni, anche con cambi rapidi e improvvisi. La sua prestazione, in alcuni momenti è da brividi. Così come Louis Hertum che, soprattutto nel finale di episodio, fornisce un’intensità estrema al suo personaggio.
Sicuramente, quindi, un lavoro ben fatto e ben scritto, che promette molto.
Per ogni notizia e aggiornamento sul mondo dello spettacolo, cinema, tv e libri, vi consigliamo di seguire la nostra pagina Facebook