Alla Mostra del Cinema di Venzia è arrivato anche il momento della presentazione della nuova opera di Malick, Voyage of Time: Life’s Journey. Nuova è una parola un po’ grossa però, perché Voyage of Time non è altro che il prologo di The Tree of Life, espanso e accompagnato da una voce narrante.
Per quale motivo Malick abbia deciso di rifare una cosa che aveva già fatto non è dato sapere. Voleva spiegare e argomentare meglio quello che gli era rimasto nella sua testa nel corso di Tree of Life? Probabile, ma spesso, a mio parere, questo lavoro sa di ripetizione pura e non di arricchimento.
Sgombriamo subito il campo: Voyage of Time è piacevole da vedere e contiene dei buoni spunti di riflessione e alcune immagini e spezzoni con un ottima fotografia, ma poco di più. Il regista americano ha uno destino particolare: non c’entra col grande pubblico (non che sia un male, anzi) ma ha una buona parte della critica che lo idolatra a prescindere. Questa parte vive una sorta di “pregiudizio positivo”: qualsiasi cosa faccia Malick griderà sempre al maestro e poeta, anche nel caso, ma ora siamo al paradosso, riprendesse alcune sue frasi dai baci Perugina.
Cos’è questo Voyage of Time
Prima cosa, non è un film, nessuno si aspettava di vedere un film, quindi il giudizio non è minimamente influenzato da questo. C’è chi lo ha definito documentario, c’è invece chi lo ha definito arte visiva. Dopo la visione di quest’opera, sinceramente, posso dire che Malick ha cercato di fare entrambe le cose, ma non riuscendo a fare né una, né l’altra.
Non è assolutamente un documentario, anche perché la storia del pianeta è rappresentata a grandi linee, con salti, pezzi mancanti e imprecisioni palesi. Tante cose che lasciano abbastanza spiazzati: dalla caduta dell’asteroide, che pose credibilmente fine all’era dei dinosauri, in poche scene appaiono giraffe e elefanti (scusa?) e poi l’uomo, così, d’improvviso, nella sua forma praticamente sapiens. Pure le altre forme di vita, le piante, gli scenari appaiono abbastanza posticci e casuali.
Ma si dirà “Malick non voleva raccontare la storia della terra, voleva dare un messaggio”, bene, e qual’è il messaggio?
Il messaggio di Malick
Qui forse viene la parte migliore dell’opera, anche se un po’ confusa: la natura è buona, ma è anche indifferente. La voce narrante di Cate Blanchett che continua a rivolgersi alla “mother” che sostanzialmente è un misto tra la natura e la vita, cerca di capire le ragioni stesse dell’evoluzione, non solamente in riferimento alla specie umana, ma al tutto in generale e dipinge un quadro nel quale bontà, devastazione, indifferenza, caso e bellezza si mischiano. Alla fine non è assolutamente dato sapere quale sia la risposta, ma spesso è il porsi la domanda la parte divertente.
Visual art?
Abbiamo visto sopra che questo lavoro non è un documentario, ma è quindi da considerare visual art? Alcune scene o sequenze porterebbero a dire di sì, specie in quelle dedicate all’universo, nelle quali però la bellezza dello spazio infinito e delle stelle contribuisce notevolmente, ma invece torniamo indietro quando “si plana” a terra. Molte immagini sembrano riciclate da documentari qualsiasi, paesaggi odierni il più possibile alieni, bellissimi da vedere, ma che poco hanno a che fare con la storia del pianeta e, soprattutto, che hanno una qualità visiva appena accettabile. Il culmine però arriva con dinosauri (dinosauro sarebbe meglio dire) e umani. Se la scena del dinosauro che saltella sulla spiaggia e guarda il tramonto sfiora l’involontaria risata, la rappresentazione del gruppo umano ricorda dei film di seconda categoria.
Quindi cos’è quest’opera di Malick? A mio parere è un po’ un misto di tutto, che però non eccelle in nulla, si può vedere, ma non rimane scolpito nella storia di nessuna disciplina artistica, un divertimento per il regista, un piacevole intermezzo per lo spettatore non ossessionato e, chiaramente, un capolavoro immenso, mai visto prima, poetico e magistrale per chi vive coi pregiudizi, pur con quelli positivi.
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