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The Woman who left: Recensione del film Leone d’Oro a Venezia 73

The Woman who left arriva a Venzia 73 alla fine della Mostra, noi lo abbiamo visto l’ultimo giorno, quindi, questa recensione arriva quando abbiamo già visto le premiazioni e sappiamo che questo film ha vinto il Leone d’oro per questa edizione della Mostra del Cinema.

the woman who left lav diazUn Leone d’Oro annunciato, perché Lav Diaz dove va vince, essendo riconosciuto nell’ambiente della critica come uno dei maestri moderni del cinema. Una cosa che può essere anche vista come un certo elitarismo, dal momento che i film di Diaz molto difficilmente raggiungono, non dico il grande pubblico, ma nemmeno quello intermedio, quello che non si limita ai cinepanettoni, anzi li rifugge, ama il cinema e ha pure un po’ di basi cognitive per giudicarlo.

Perché qui Lav Diaz arriva con un film di 226 minuti, ben 3 ore e 46, e per il suo standard sono pure poche.

The Woman who left: i pregi

Questo The Woman who left non è scevro da pregi, oltre al nome dell’autore: è un racconto cupo, in cui la fotografia e il bianco e nero concorrono a dare maggiore cupezza; è una storia di redenzione, di vendetta, di ricerca, ambientata nelle periferie povere delle Filippine, in un periodo storico recente e violento; the woman who left lav diazè un racconto che gira intorno ed esplora il mondo delle persone “difettate”, gli ultimi, i rinnegati dalla società, quelle persone per cui il ieri è drammatico e il domani è inesistente; è un racconto carico di poesia e dolore, tragico, intenso, con uno sguardo che non compatisce ma riesce ad evidenziare a tratti la bellezza di questi esseri umani “rotti”.

La fotografia in molti casi è magistrale, con un’attenzione alla composizione ricercata, una capacità di nascondere il soggetto, spostando lo sguardo dello spettatore verso altri punti d’interesse unica. Una smaccata ricerca del taglio artistico che però non elude la storia narrata, ma ne circoscrive il punto di vista, portando lo spettatore ad un immersione emotiva con l’immagine che scorre. A volte esagera e si perde in questa ricerca, ma la cosa è limitata.

The Woman who left: i difetti

La pellicola tuttavia non è esente da difetti. A mio personalissimo parere, il film sarebbe potuto durare meno, senza dover tagliare nessuna delle storie raccontate, nessuna scena, nessun dialogo e pure nessun silenzio. Com’è possibile una situazione del genere?

the woman who left lav diazPerché ho trovato quest’opera, ed è un goal a porta vuota con Diaz, priva di sintesi e io ritengo che la capacità sintetica e il rispetto dei tempi scenici siano doti che non vanno messe in disparte quando si realizza un racconto, che sia visivo o scritto. Non credo nemmeno che questa cosa rientri tra i gusti personali, ma sia un inevitabile regola fondamentale di ogni narrazione, perché se si racconta male una buona storia, si finisce per raccontare una cattiva storia.

In questo The Woman who left ogni scena, ogni dialogo, ogni fotogramma viene allungato a dismisura, quasi raddoppiandone i tempi di esposizione. La scelta è chiaramente voluta da Lav Diaz, ma personalmente non ho trovato il motivo di questa scelta. Questa esasperazione non ha finalità narrative evidenti: non serve a fare capire allo spettatore qualcosa in più, né ad inserire un messaggio supplementare. Le scene erano già onnicomprensive di tutto, allungarle non aveva nessuna utilità, così come i dialoghi. Per fare solo un piccolo e limitativo esempio, se ho un silenzio carico di significati che dura 10 secondi e già lo spettatore capisce tutto quello che si nasconde dietro a quel silenzio, non trovo assolutamente necessario prolungare lo stesso per altri 10 secondi; sono solo ridondanti.

Moltiplicate questo concetto per ogni silenzio, ogni scena, ogni inquadratura e vi trovate un film ottimo, poetico e profondo di due ore e mezza che diventa un film stiracchiato di 3 ore e 46 minuti.

The Woman who left: vale il premio?

Qui entriamo nel campo del personale. La mia risposta è per alcuni aspetti si, per altri no. Sicuramente la trama è pregna di significati, è importante, è lirica, è delicata ed  è allo stesso tempo un pugno allo stomaco, così come la capacità fotografica e registica sono sublimi, però c’è quella mancanza di capacità di sintesi che porta a rivedere il giudizio leggermente al ribasso e che mi fa pensare che la vincitrice di una Mostra importante come Venezia, non possa essere una pellicola con dei difetti che secondo me pesano, nonostante il nome del regista.

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About Andrea Sartor

Cresciuto a pane (ok, anche qualche merendina tipo girella o tegolino... you know what I mean... ) e telefilm stupidi degli anni 80 e 90, il mondo gli cambia con Milch, Weiner, Gilligan, Moffat, Sorkin, Simon e Winter. Ha pianto davanti agli uffici dell'HBO. Sogno nel cassetto: pilotare un Viper biposto con Kara Starbuck Thrace e uscire con Number Six (una a caso, naturalmente). Nutre un profondo rispetto per i ragazzi e le ragazze che lavorano duramente per preparare gli impagabili sottotitoli. Grazie ragazzi, siete splendidi

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