Cate e Ferro sono due ragazzi che si apprestano a sostenere il fatidico esame di maturità. Subito dopo gli spetterà un’estate spensierata, fatta di viaggi, progetti e divertimento, se non fosse che Cate scopre di essere incinta. I due, nonostante la giovane età, decidono di tenere il bambino. Avranno solo nove mesi di tempo per prepararsi ad un evento che inevitabilmente cambierà le loro vite.
I giovani e la maternità
Piuma segna il terzo lungometraggio del regista italo-inglese Roan Johnson dopo I primi della lista e Fino a qui tutto bene. Il genere è sempre quello, la commedia, che qui vede come protagonisti due giovani in cerca di una soluzione che dia un futuro stabile ad una creatura in una vita che tanto stabile, per loro, non lo è affatto.
Se un figlio può cambiare la vita di una coppia in qualsiasi momento della vita, figuriamoci in che modo lo fa quando si è ancora giovani e ingenui. Un’ingenuità incarnata perfettamente da Ferro, che decide di stare accanto a Cate nonostante non abbia ben chiaro cosa comporta l’essere padre a 18 anni, senza avere ancora un lavoro e una casa in cui vivere; senza avere quella consapevolezza di persona matura richiesta per un simile evento.
Una commedia divertente ma ricca di clichè
Piuma, nelle sua ora e mezzo di film, riesce a divertire a più riprese, complici scene azzeccate prive di qualsiasi volgarità e che fanno riferimento alla commedia italiana più classica. Nonostante questo, il film cade più volte in vari clichè del genere, concedendosi troppi momenti dove la scrittura cede il passo ad una retorica che rappresenta banalmente i giovani d’oggi come una generazione di scapestrati e sprovveduti e un mondo adulto incapace di comunicare con i loro figli. Tutto vero, per carità, se non fosse che Johnson non faccia niente per dare uno spessore maggiore a questa cosa.
Johnson rimane sempre attaccato ai suoi personaggi, li coccola (fin troppo) e cerca di comprendere e giustificare le reazioni di ognuno di loro. Inserisce anche delle metafore esplicite ed eccessivamente didascaliche come le papere di plastica che vagano libere per anni in mezzo all’oceano invece di restare nei confini definitivi di una vasca da bagno. Il senso di libertà, di andare contro corrente mentre tutti vanno nella direzione opposta, che è quello che succede a Cate e Ferro in quel momento della loro vita.
Un film leggero come una piuma
Non è sbagliato dire che Piuma è un film leggero. Lo è nel titolo e lo è nel descrivere quello che accade nella vita di Cate e Ferro, che nuotano liberi sopra la città (altra metafora visiva del film) senza preoccuparsi della responsabilità che gli pioverà addosso quando una bambina vedrà la luce. L’accettare quello che la vita ti riserva senza doversi preoccupare non più di tanto.
Non è al tempo stesso sbagliato affermare come Piuma non sia affatto un film da Concorso in una Mostra Internazionale di Cinema come quella di Venezia. In una sezione collaterale come il Fuori Concorso o, ancora meglio, in un Festival con un altro tipo di identità (la Festa del Cinema di Roma su tutte) non avrebbe affatto sfigurato.
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