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Les Beaux Jours d'Aranjuez

Les Beaux Jours d’Aranjuez (3D): recensione del film di Wim Wenders a Venezia 73

Les Beaux Jours d’Aranjuez: un Wim Wenders diverso

Quando un regista del calibro di Wim Wenders presenta un nuovo film le aspettative si accompagnano al rischio della delusione. Les Beaux Jours d’Aranjuez (3D) conferma questa dicotomia e non si può certo definire il capolavoro del regista austriaco. Eppure, il film trova la sua forza nel rappresentare la carriera di Wenders e la sua evoluzione, quella di un regista che ha sempre sperimentato e rinnovato il proprio stile e l’approccio all’arte cinematografica.

Les Beaux Jours d’Aranjuez: l’omaggio al cinema francese
Les Beaux Jours d'Aranjuez

Les Beaux Jours d’Aranjuez, che omaggia il cinema francese di Eric Rohmer in particolare, è la storia di un dialogo tra un uomo ed una donna, interpretati da Reda Kateb e Sophie Semin, ambientato in un giardino che si affaccia su tutta Parigi. I due personaggi sono frammenti dell’immaginazione dello scrittore interpretato da Jens Harzer che li osserva prendere forma su carta e nella vita. I due parlano principalmente delle relazioni uomo e donna, un tema costante nel cinema francese con frammenti di dialogo che ricordano il Jean-Luc Godard della Nouvelle Vague, À Bout de Souffle e Masculin, Féminin particolarmente, con sfaccettature del più recente Adieu au Langage.

Les Beaux Jours d’Aranjuez: la collaborazione con Peter Handke

Nonostante le diverse influenze e gli omaggi, Les Beaux Jours d’Aranjuez è un film che consciamente porta il nome di Wenders in ogni suo angolo. Il film rappresenta, infatti, la prima collaborazione tra Wenders e lo scrittore Peter Handke da Il Cielo Sopra Berlino. Ed è questo quasi ritorno alle origini del cinema di Wenders che si rivela fondamentale per apprezzare un film complesso, ma allo stesso tempo candido e raffinato.

Les Beaux Jours d’Aranjuez: Wenders, Nick Cave e un jukebox

Les Beaux Jours d'AranjuezSenza tralasciare la bravura e l’importanza dei protagonisti, il film sembra avere un quarto personaggio, quasi una figura onnisciente: il jukebox. Considerando l’importanza della musica nella filmografia di Wenders non è una sorpresa che proprio questo oggetto diventi il soggetto capace di formare la narrazione attraverso le note. Un’anticipazione sull’importanza del jukebox viene data nella sequenza iniziale che ci mostra Parigi in tutto il suo splendore, accompagnata da “Perfect Day” di Lou Reed.

La musica diventa il ponte tra realtà e finzione, ma richiama anche l’evoluzione del regista che sceglie proprio Nick Cave per un cameo musicale. Nick Cave and the Bad Seeds formarono la culturale musicale berlinese negli anni ’80 così come Wenders fece con il cinema. Ne Il Cielo Sopra Berlino, Nick Cave canta “From Her to Eternity” con tutta l’intensità, la rabbia e il desiderio del testo e dell’arrangiamento. Invece, non a caso, il jukebox di Les Beaux Jours d’Aranjuez ci porta a vedere il Nick Cave di “Into My Arms” suonata al pianoforte quasi a commentare sulla maturità artistica di entrambi gli artisti.

Les Beaux Jours d’Aranjuez: una perfetta giornata d’estate

RiLes Beaux Jours d'Aranjueztornando al dialogo, i personaggi toccano un altro tema interessante: la ricerca dell’essenza dell’estate che cercano di catturare nella giornata perfetta che si trovano a vivere. Spesso nostalgica, la sceneggiatura riflette anche sul significato dell’essere donna, si interroga sui modelli femminili del passato, dai film western alla società odierna, domandandosi se effettivamente debba esistere una definizione.

Infine, la regia di Wenders non delude mai l’occhio, tenera e brutale, sacra e profana, ma sempre onesta, mentre le perfette giornate d’estate giungono al termine e i jukebox continuano a suonare.

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