El Cristo Ciego arriva alla Mostra del Cinema di Venezia con un certo carico di aspettative, visto lo stato ispirato del cinema sudamericano e visto anche che alla scorsa edizione di Venezia72 avevano trionfato al Leone d’Oro e a quello d’Argento ben due film dell’America del Sud con, rispettivamente, Desde Allà e El Clan.
E alla fine il film non delude o, meglio, si inserisce in quella che è la tradizione di racconto intimista che caraterizza una certa parte della narrazione di quelle latitudini, prima a livello letterario e poi in quello cinematografico. Facciamo intanto i fondamentali distinguo: El Cristo Ciego non è un film facile e il ritmo è sicuramente compassato, accompagnato da una lentezza di dialogo che, se non si è preparati, può portare a trovare l’incedere troppo incerto ma, a mio giudizio, questa è sicuramente cifra stilistica del film stesso.
La ricerca della fede tra le rovine
Il film è un viaggio, una missione, nel quale non si cerca la formazione o una verità, ma forse si va verso un destino, cercando di sfuggirne un altro. Lo possiamo vedere come anche una missione di “sacrificio” dove con questo termine intendiamo il rinunciare alle proprie sicurezze, al mettersi in gioco per poter fare la cosa giusta e il bene verso chi si “ama” anche se si parla di amore fraterno.
Ma nel viaggio si scoprono sempre molte cose e si incontrano diverse situazioni ed è in quel momento che il protagonista si trova a confrontarsi con quelle che sono le rovine che lo circondano e, come un Cristo, a portare il suo messaggio, la sua visione.
Perché quello che El Cristo Ciego trova è la rovina di una società povera, ridotta allo stato di sussistenza da un capitalismo imperante, che, nella tradizione del fatalismo latino, si aggrappa ad una fede passiva, nella quale si trova conforto nella venerazione della statua, dell’amuleto e la vita viene consumata nell’attesa di un aiuto esterno e divino mentre si incede verso un destino che viene ritenuto ineludibile.
Ed è qui che il messaggio del protagonista si inserisce a spiegare, con le “parabole” tipiche del suo illustre “predecessore” che la fede, Dio, non sono nei simboli e nelle strutture ma dentro ogni uomo e donna, nel loro agire, nel lor fare la cosa giusta anche se non è il Dio a farla
Dio ha fatto delle cose e poi se ne è andato. Poi è venuto Gesù a riempire quel vuoto, ma anche lui se ne è andato. Ora sta all’uomo riempire quel vuoto
El Cristo Ciego come una visione anti-sistema
Perché alla fine è anche questo il film. Il messaggio che vuole dare il narratore è quello che la salvezza è dentro ognuno e sono le sue azioni a costruirla, senza aspettare passivamente, ma andando anche a rifiutare quelle che sono le strutture che gli uomini hanno costruito, che siano religiose o sociali, perché sono quelle strutture che, sempre stando alla narrazione, costruiscono il primo blocco delle catene dell’uomo. L’ultimo è, chiaramente, la rassegnazione.
Ma il film è anche un viaggio intimo nel cuore del protagonista, un uomo ingenuo ma buono, che ha perso molto, ha perso la fede e l’ha ritrovata attraverso una messa in scena, ma è sempre vissuto nella paura di riperderla di nuovo, nell’arrivare a dimostrarsi che Dio non c’è, ma che alla fine si cimenta lo stesso nella prova, per quell’amore fraterno di cui parlavamo all’inizio.
Ma non sono l’arrivo, il successo o il fallimento a fare la differenza. Il viaggio fa la differenza.
Per ogni notizia e aggiornamento sul mondo dello spettacolo, cinema, tv e libri, vi consigliamo di seguire la nostra pagina Facebook