L’affollata sala Sinopoli ha accolto la proiezione del film 7 Minuti del regista, sceneggiatore e qui anche attore, Michele Placido. Sette minuti a cui se ne sono aggiunti 30 di attesa per il cast del film e gli invitati VIP occupati a pavoneggiarsi sulla passerella dell’Auditorium Parco della Musica.
7 Minuti: dalla storia al grande schermo
7 Minuti è ispirato a un fatto realmente accaduto, e riadattato dalla pièce teatrale omonima, Michele Placido porta sul grande schermo una vicenda che vide le operaie di una storica fabbrica intimo francese, scioperare e poi riunirsi a negoziare un accordo con i padroni. L’emblematica vicenda dove, nel 2012, 11 operaie della Lejaby a Yssingeaux (Alta Loira) si riunirono per discutere il rinnovo di un contratto che deciderà le sorti di tutte le 300 operaie della fabbrica. Il film ripropone i temi cari a Placido delle ingiustizie sociali e l’eredità del ’68 dopo che la delocalizzazione di marchi storici ha indebolito il potere sindacale dei lavoratori – italiani e europei. Un punto di vista emblematico da cui partire per affrontare diversi livelli di analisi, da quello sociologico delle implicazioni economiche a quello emotivo e più intimo delle relazioni tra i lavoratori di oggi. Tra le donne di sempre.
7 Minuti: la trama
Quando la fabbrica di tessili viene venduta alla multinazionale francese, i proprietari, i fratelli Placido (qui fratelli Varazzi), convocano la rappresentante sindacale Ottavia Piccolo (Bianca) ad assistere alle trattative. A fine presentazione, dopo smancerie e rassicurazioni, viene consegnata a lei e alle altre rappresentanti una lettera in cui si comunica che l’accordo prevede il taglio di 7 minuti dalla loro già breve pausa pranzo. Tra perdere il posto di lavoro e rischiare la cassa integrazione, o perdere 7 minuti di pausa, le operaie raccolte a votare, non hanno dubbi. Se non fosse per Bianca che si rifiuta di cedere alla richiesta, il voto sarebbe unanime. Messe alle strette e con problemi familiari ed economici, le operaie inizieranno un lungo dibattito sull’erosione dei diritti dei lavoratori e su come a piccoli passi indietro, stiamo rinunciando ai diritti che nel ’68 si erano conquistati.
Michele Placido nel suo 7 Minuti usa l’espediente tempo per aumentare la drammaticità della situazione. Sette minuti in meno o si perde il lavoro; poco tempo per decidere se accettare l’umiliazione o restare senza lavoro. E’ il tempo che scade anche all’operaia in attesa a cui si rompono le acque durante la discussione. E’ lo stesso tempo stretto per la manager giunta da Parigi per concludere alla svelta le trattative, cui preme rientrare a casa per cena…
La riunione tra le donne avviene in un ambiente industriale malandato. La luce al neon accentua la stanchezza sui volti dei personaggi a volte troppo teatrali e alcuni poco verosimili. La bella Violante Placido invecchiata e imbruttita, Ottavia Piccolo sempre molto “signora” nel ruolo dell’operaia sindacalista. Molto brava invece la Mannoia che recita in un romano sbiascicato ma pieno di intensità, così come Ambra Angiolini nei panni della dura.
Le accese discussioni fanno emergere le piccole storie personali in un caleidoscopio personaggi. C’è l’operaia anziana che non vuole “regalare” alla multinazionale i suoi diritti, e quella appena assunta che non ne capisce l’importanza. L’immigrata dell’Est Europa e quella africana con il loro bisogni di costruirsi una vita migliore, integrarsi o sfuggire a mariti violenti. L’operaia con la figlia incinta e la quella albanese, bella e mite, che resiste impotente alle avances del padrone. C’è la spaccona violenta che sembra uscita dalla serie Gomorra e l’invalida trasferita in amministrazione dopo un incidente sul lavoro. Non manca proprio nessuno.
Giudizio sul Film
Quando lotta tra poveri sostituisce la lotta di classe, la solidarietà cede il passo alle necessità personali, e il confronto sindacale (e sociale) è schiacciato sotto il peso delle necessità individuali. Undici donne, undici attrici che tracciano un amaro ritratto della vita delle lavoratrici di fabbrica nei tempi della crisi del settore tessile. Quante umiliazioni siamo disposti ad accettare per mantenere un posto di lavoro? E quante ancora per sostenere i nostri figli e le nostre famiglie? Se le operaie immigrate, disposte ad accettare qualsiasi clausola, argomentando con un feroce: “da dove veniamo noi si sta molto peggio!”, le vecchie operaie si oppongono nel difendere i diritti conquistati.
Immagino che se fosse stato un film al maschile, di certo il pathos della storia sarebbe stato di minore intensità. Avrebbe parlato di potere, economia globale, di grandi sistemi? Le vicende delle donne rendono invece tutto più palpabile e tristemente reale. Più drammatico. Arrivano prima al cuore le vicende delle donne, o forse più giù, allo stomaco: da Bread and Roses di Ken Loach (2000) a Tutta vita davanti di Paolo Virzì (2008), quando si tratta di diritti del lavoratore, dove si dice Donna si dice Dramma. Ma la mente vola a 12 Angry Men (La parola ai giurati), il film diretto da Sidney Lumet nel 1957: qui in scena il ragionevole dubbio di una delle operaie e le discussioni che ne seguono. Quel ragionevole dubbio se piegarci e accettare o lottare e ribellarci a condizioni sempre meno dignitose per i lavoratori giustificate dai tempi di crisi.
“I 7 minuti che lei (Bianca) non vuole regalare all’azienda sono un simbolo: se cominciano a chiederti questo, quello che ti è dovuto sparisce”, dichiarava la Piccolo in un’intervista.
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