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Suburbicon: la recensione del nuovo film di George Clooney

Suburbicon è il nuovo film diretto da George Clooney ed è stato presentato in anteprima alla 74a mostra del cinema di Venezia. George Clooney inoltre non è la prima volta che porta un suo film al Lido: già i suoi Good Night, And Good Luck nel 2002 e nel 2011 Le idi di Marzo erano stati proiettati in anteprima.

Suburbicon: la sinossi

Suburbicon è una ridente cittadina californiana degli anni ’50 con case a schiera, giardino curato e suburbiconabitato da famiglie dotate di macchina e con il padre di famiglia che ogni giorno si reca diligentemente a lavoro. Un quadro perfetto per le famiglie alla ‘mulino bianco’ americano. La storia che la sceneggiatura dei fratelli Coen racconta però è tratta da fatti realmente accaduti in quegli anni: nel momento in cui a Suburbicon si trasferisce una famiglia (seppur borghese) di colore, l’atteggiamento sorridente dei suoi abitanti si trasforma ben presto nel più becero e violenza razzismo. In contemporanea, proprio accanto ai nuovi arrivati si consuma una misteriosa tragedia familiare, che sarà vera e propria protagonista del film.

Suburbicon: le nostre impressioni

Suburbicon propone una critica all’ipocrisia generalizzata della società americana degli anni ’50 (e non solo) che tende a celare pulsioni violente e oscure. Protagonista indiscussa, come già abbiamo avuto modo di vedere in altri film dei Coen come Non è un paese per vecchi e soprattutto Fargo, è la violenza cui si dedicano energicamente gli esseri umani. In questo caso il racconto che propone il film viene svolto a cavallo tra due famiglie i cui destini verranno parallelamente stravolti, un modo suburbiconper trattare criticamente due violenze di diversa natura: da un lato troviamo la storia della famiglia di colore, costretta a difendersi dagli attacchi sempre più brutali della popolazione bianca di Suburbicon, dall’altro invece la violenza dell’omicidio di una madre di famiglia come tante in circostanze oscure. Da un lato quindi la violenza sociale che sta alle spalle delle presentazioni ipocrite di una società mediocre che si è cercata e creata il suo fittizio paese in cui poter perseguire il sogno americano ad un prezzo accessibile; dall’altro si racconta la domesticità della violenza familiare, al fine di svelare quanta pochezza si nasconde dietro tutti quei sorrisi falsi da pubblicità televisiva.

Il soggetto si presenta dunque come un’aspra critica alla media borghesia americana che ricerca la propria felicità in un sogno non originale e mediocre proseguendo con una lunga serie di scheletri nell’armadio sia dal punto di vista personale che sociale. Tuttavia è un’idea che è già stata parzialmente proposta anche nel già citato Fargo e che dunque non riesce a tenere sulle spine quanto dall’estetica del film probabilmente si proporrebbe. Quella suspense ricercata con delle ottime riprese, con una fotografia accurata e con delle interpretazioni estremamente ben riuscite si perde purtroppo in situazioni non ignote al pubblico, ma non lo lascia tuttavia insoddisfatto dell’insieme.

Il film di Clooney infatti risulta estremamente godibile, specialmente grazie all’umorismo nero che spesso fa capolino e che rende decisamente grottesche la maggior parte delle scene e dei personaggi. L’ironia dei Coen si percepisce e rimane il punto di forza maggiore del film, che si sposa suburbiconparticolarmente bene con l’ambientazione anni ’50 che brilla in tutta la sua artificialità cotonata e infiocchettata. Si ride di personaggi malvagi non all’altezza, impacciati nella loro stessa messa in scena, ridicoli perché incapaci di gestire le conseguenze delle loro azioni, ma soprattutto si ride amaramente della miopia delle persone, che letteralmente guardano nella direzione sbagliata. Le due famiglie protagoniste infatti sono vicine di casa, ma la violenza collettiva si incanala soltanto contro il nemico razziale, la minaccia assoluta per l’omogenea, ridente comunità bianca che in men che non si dica si trasforma in una folla inferocita pronta a macchiarsi del sangue altrui. Nessuno bada a ciò che succede nella casa di fianco perché nessuno è in grado di immaginarlo.

L’unica, seppur ingenua speranza è rappresentata dai due bambini, che incondizionatamente giocano da un giardino all’altro, superando le atrocità che si svolgono attorno a loro. Sono loro la speranza per un futuro migliore. Ma il futuro americano è stato davvero così migliore? Purtroppo si ride amaramente anche, a posteriori, di questo implicito narrativo.

Suburbicon

valutazione globale - 7

7

grottesco e critico

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Suburbicon: un giudizio in sintesi

Il trinomio George Clooney-fratelli Coen si rivela ancora una volta vincente e in grado di realizzare dei film interessanti e criticamente ironici. Non si tratta del loro migliore risultato, soprattutto se si pensa alla trilogia dell’idiota, ma Suburbicon resta comunque un film apprezzabile, grottesco, ben girato e ben interpretato. Da non perdere anche se non eccelso.

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