Neruda di Pablo Larrain ripercorre la fuga del celebre poeta cileno Pablo Neruda dal Cile all’Argentina a seguito del mandato di cattura emesso contro di lui dal dittatore Videla, causato dalle dichiarazioni polemiche rese dal poeta nei suoi confronti.
Neruda: una storia più ampia del biopic
Il dato di realtà però fa solo da cornice al film, poiché non si vuole, per esplicita dichiarazione del regista, dare luogo a un biopic, un film biografico, ma usare la “maschera” di Neruda e la sua capitale importanza per la vita pubblica e culturale cilena, per tentare di entrare nel vivo dell’eterno rapporto tra vita e arte.
Ci si muove ad ogni inquadratura in cerca di un sofisticato tono tra il grottesco surreale e il lirico, oltre che sul solco, come detto, del rapporto tra realtà e narrazione, introducendo la dialettica tra artista creatore
e la sua nemesi, vera o letteraria, il poliziotto Peluchenau, colui che viene designato dal regime a dare la caccia al poeta lungo la cordigliera della Ande, personaggio realmente esistito eppure plasmato da Larrain quasi più per solleticare il mito dell’artista e assecondarne la sua narcisitica vena di poeta fuggiasco che per nuocergli davvero.
Larrain troppo intellettualistico
Questa ricerca di continua ibridazione dei toni espressivi e narrativi, (come dichiarato dallo stesso autore, negli intenti il film non doveva poter essere ascritto a un singolo genere ma racchiuderne molti, dal noir al western al road movie), finisce secondo chi scrive per appiattire la pellicola. Si rimane sempre nel gioco intellettualistico, la voce
fuori campo del poliziotto, quasi onnipresente, deborda continue metafore e aggiunge spesso un’enfasi che, messa appunto per tratteggiare un raffinato mondo di poesia e ironia trasognata, in realtà non pare legare molto con le immagini e concorre a rendere peggiore la fruizione. Qualcosa nel tono letterario e barocco di essa sembra riecheggiare lo stile di un altro scrittore sudamericano, Gabriel Garcia Marquez.
I poeta e il suo antagonista
Salta agli occhi la rappresentazione di Neruda come di un’esteta egocentrico e capriccioso, profondamente innamorato della propria personale mitologia di artista, come quando in un dialogo dai risvolti ironici con la moglie pittrice le ricorda che tra di loro il vero artista è lui, e di comunista amante del lusso e dell’eros extraconiugale, non stupisce rilevare che tutto ciò sia stato accolto in modo ambivalente in Cile. Pur non essendo cileni né specialisti di letteratura di quel paese può insorgere il dubbio che vi sia qualcosa di eccessivamente macchiettistico e monodimensionale nel Neruda di Larrain, nonostante ciò ben incarnato dal volto pastoso e semiserio di Luis Gnecco, usato da Larrain anche in film precedenti come No e Postmortem.
Anche la figura del poliziotto Peluchenau, l’antagonista di Neruda, che finisce per “naufragare” nel suo mito artistico-letterario finendo per anelare l’uscita dal ruolo di personaggio “secondario” per partecipare della grandezza della narrazione partorita, in un gioco di ombre, da Neruda stesso all’interno del film, sembra contenere qualcosa di eccessivamente lezioso, né l’espressività dell’attore Gael Garcia Bernal pare venire a smentirlo.
Di questo film rimane comunque la bellezza delle inquadrature, corroborate dal fascino degli scenari e dalla fotografia sgranata da noir di Sergio Armstrong.
Per ogni notizia e aggiornamento su mondo dello spettacolo, cinema, serie tv e libri, vi consigliamo di seguire la nostra pagina Facebook.