Il giorno di Pablo Larraín è arrivato. Il regista cileno, all’acme di una carriera che finora ha regalato esclusivamente successi, arriva a Venezia 76 con il prevedibile carico di aspettative e curiosità. E con Ema, la sua ultima fatica, potrebbe ambire alla conquista del Leone d’Oro.
Ema: sinossi
Per le strade di Valparaíso si aggira Ema (Di Girolamo), giovane ballerina turbata dalla separazione dal proprio figlio adottivo e da un rapporto con il compagno Gastón (García Bernal) che, per questo motivo, è sull’orlo del collasso. Ostinata e fiera, Ema non esiterà a percorrere tutte le strade possibili per recuperare tutto ciò che la vita le ha sottratto.
Ema: le nostre impressioni
Ema si colloca nei confini dell’opera dalla lunga sedimentazione. Composito, esteticamente raffinato e potente, il film di Larraín non è di quelli di immediata fruizione. E, nonostante questo, a naso si ha l’impressione di aver trovato uno dei più seri candidati alla conquista del Leone d’Oro.
Ma procediamo con ordine. Larraín decide di concentrarsi su una contemporanea storia di maternità e lotta, su una vicenda emancipatoria: eppure una liberazione sui generis, sebbene non di genere. Che al cuore di Ema stia una sostanziale ricerca e brama di libertà tutta personale e soggettiva, oltre che di maternità, viene esplicitato (a posteriori) da una scena iniziale dal chiarissimo valore predittivo, quella di un semaforo incendiato dalla protagonista. Ergo: incenerire il simbolo più universalmente noto di condivisione e consuetudine, altro non significa che abbattere “Il” limite, “La” convenzione, la stessa che Ema sente stringersi attorno a se. E forse attorno al concetto di famiglia, soffocato dalle strette maglie di un’umanità convenzionale, standardizzata, arida forse, che considera la famiglia come una e unica. Ema, parole sue, è l’amore, è il male, è la danza sfrenata ed apparentemente insensata di un reggaeton ottundente (per gli altri) eppur liberatorio (per se stessa). Ema è ogni cosa, è un’incendiaria, è libera, incarna uno spirito indomito che non si arrende di fronte a nulla ed è pronto ad incenerire tutto ciò che le impedisce di ottenere ciò che vuole.
Ed Ema vuole anzitutto la maternità, e di conseguenza una famiglia. I confini fatti a pezzi da Ema saranno tanti nel corso della vicenda, ivi compresi quelli del lecito, dell’ovvio o semplicemente del tradizionale, al punto da avvertire il figlio adottato e perso come biologicamente proprio. Poco importa il dna, il vero padre, e persino la madre, tutti ruoli messi in crisi dalle sue scelte. L’amore totale narrato da Larraín ed incarnato dalla protagonista è capace di indirizzarsi sessualmente verso uomini o donne, ed emotivamente verso un bambino o la danza. I dati concreti sono accidenti storici, i principi generali sono cardini inderogabili. Confini, dicevamo, che se non sono proprio da abbattere vengono comunque erosi nei fatti, svuotati di ogni essenzialità. Ema diventa così anche la storia di ricerca di una famiglia, che rispetti le personalissime declinazioni della protagonista: una sorta di comunità libera, allargata, insolita, anche un po’ ironica nella sua forma estremamente inconsueta.
A cementare i nuclei tematici della vicenda, la danza, che in Ema ha una valenza nient’affatto secondaria. Sono notevoli le coreografie riprese dal regista cileno, che donano al film uno spessore (non soltanto) estetico non trascurabile. Evidenziate dalle luci al neon e da un muro sonoro imponente, le funzioni semantiche del ballo si riconducono ad una sorta di spinta vitale insopprimibile che è tra le qualità più intime di Ema, personaggio e opera insieme. Ema non è affatto un musical, ma Larraín dispensa con oculatezza le scene di ballo nel corso della narrazione, e la loro importanza non può essere sottostimata.
Non tutto fila perfettamente liscio, in quest’ultimo film di Larraín. La storia, improntata ad un sostanziale realismo o quantomeno ad una certa verosimiglianza, pare tradire grossolanamente questo assunto non appena presenta Ema e le sue scalmanate amiche aggirarsi indisturbate per le strade di Valparaíso con un lanciafiamme (in quale luogo è lecito aspettarsi che ciò avvenga realmente?). Ci si chiede, inoltre, se in quest’ultima opera il regista cileno non sia caduto vittima di un barocchismo dell’immagine che risente di lontani echi sorrentiniani. In certi momenti il film pare realizzato per mera giustapposizione di quadri scelti per la loro forza espressiva, ed attorno ai quali, a posteriori, si costruisca un esile svolgimento. Nel complesso, comunque, la fotografia resta di alto livello in tutti i momenti.
Ultima nota di merito per la protagonista, l’intensa Mariana di Girolamo che potrebbe essere in odore di Premio Mastroianni.
Sete di libertà e famiglia in un'opera barocca ma ben realizzataEma
valutazione globale - 6.5
6.5
Ema: curiosità e dichiarazioni
Prima di cominciare le riprese di Ema, Pablo Larraín era impegnato nella pre-produzione del suo primo film statunitense, The true american. A causa di slittamenti e ritardi, il regista ha deciso di fare ritorno nel suo paese e di girare appunto Ema in sole sei settimane nella città di Valparaíso
In conferenza stampa, interrogato sulla scelta del raggaeton, Larraín ha ammesso di aver seguito il consiglio del musicista Nicolás Jaar. La protagonista, Mariana Di Girolamo, ha ammesso di gradire molto tale genere musicale, che ritiene contenere al suo interno delle spinte primitive per un atto di liberazione.
Larraín ha confermato di consegnare la sceneggiatura ai propri attori soltanto il giorno prima dell’inizio delle riprese. A detta del regista gli attori offrono le migliori interpretazioni proprio quando non sanno esattamente dove li condurrà la storia.
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