Dopo il trionfo agli Oscar di Bong Joon-ho, che si è aggiudicato ben quattro statuette con il suo Parasite, il cinema sudcoreano pare definitivamente uscito dal circuito d’essai in cui per molti anni è stato relegato. Tra le scuole più prolifiche e affascinanti, quella sudcoreana ha sfornato negli ultimi anni autori e opere che si inscrivono di diritto nella storia della settima arte. Ecco i 5 migliori titoli secondo Intrattenimento.eu.
PIETÀ (2012) – Leone d’oro a Venezia, il film è opera di Kim Ki-duk. La poesia e la delicatezza del tratto, così come la durezza delle tematiche, sono gli ossimorici tratti distintivi di un autore dalla vita tormentata. Spesso in contrasto con l’industria cinematografica coreana, Ki-duk si era ritirato in esilio volontario in una casa di campagna dopo l’incidente sul set di Dream (2008), che aveva visto la sua attrice rischiare la vita per simulare un’impiccagione. Pietà è una storia attualissima di disagio economico e di amore materno, con protagonisti uno strozzino sadico (Lee Jung-jin) e una donna che, rintracciandolo, gli confessa di essere sua madre. Nel corso degli eventi, tuttavia, il dubbio che anche il più grande degli amori possa celare terribili verità e portare alla più cruenta delle azioni si fa sempre più inquietante.
OLD BOY (2003) – Firmato da Park Chan-wook, il film costituisce il secondo capitolo della splendida “Trilogia della vendetta”, nella quale rientrano anche Mr. Vendetta (2002) e Lady Vendetta (2005). Anche Chan-wook, come Kim Ki-duk, dedica ampio spazio al topos della legittima violenza. Old boy, una specie di condensato tematico e stilistico, narra la storia di un uomo ingiustamente imprigionato con l’accusa di aver ucciso sua moglie. Il vizio dell’alcol non lo aiuta a ricordare i torbidi avvenimenti seguiti la notte dell’omicidio, ma dopo anni di isolamento non c’è altro sentimento all’infuori della sanguinosa vendetta. Con quest’opera, Chan-wook si è aggiudicato il Premio Speciale della Giuria a Cannes nel 2004, quando a presiedere la giuria c’era (non a caso) un certo Quentin Tarantino.
SNOWPIERCER (2013) – Il film che ha definitivamente consacrato Bong Joon-ho sul palcoscenico internazionale è, al pari di Parasite, un film dall’alto valore simbolico-spaziale. La storia, ambientata nel 2031, quando un’Era Glaciale ha quasi sterminato la razza umana. I pochissimi superstiti vivono all’interno dello Snowpiercer, un treno che garantisce la sopravvivenza dei viaggiatori grazie al moto perpetuo che lo alimenta. Anche all’interno dei vagoni la “micro-società” è divisa in classi, e quando i privilegi diventano intollerabili, lo scontro è inevitabile.
BURNING (2018) – Diretto Lee Chang-dong, e basato su un racconto di Haruki Murakami, Burning entra di diritto nel novero dei migliori film di tutto il 2018. Protagonista è Jong-su, un giovane sudcoreano che sbarca il lunario tra le mille difficoltà quotidiane che finisce invischiato in triangolo sentimentale. Una narrazione frammentaria, dove l’immagine cerca di cogliere un senso sempre più incerto e problematico, accompagnata dall’enigma e dal consueto lirismo di Chang-dong, capace di mostrare barlumi di poesia anche nelle zone più recondite abiezioni e miserie umane. Dopo una pausa di ben otto anni dall’ultimo film, il regista è tornato ad incantare il pubblico con un’opera dal valore altamente simbolico, perfetta sintesi di una contemporaneità non solo e non più sudcoreana, ma universale.
FERRO 3 (2004) – Chiudiamo con un vero capolavoro, firmato ancora da Kim Ki-duk che sceglie di (non) parlare d’amore: il protagonista della vicenda infatti, al pari della sua controparte femminile, non pronunciano mai una sillaba. In un mondo abbrutito, indifferente, violento e caotico, Ki-duk riduce il sentimento all’essenzialità dello sguardo e alla primordialità dell’atto. Non c’è spazio per nient’altro, nel descrivere l’amore, la parola è superflua. Pellicola meravigliosa, Ferro 3 possiede l’invidiabile pregio di coniugare al minimalismo scenografico e narrativo un torrenziale trasporto emotivo, oltre a esibire il talento quasi pittorico di un regista capace di dire moltissimo senza dire, letteralmente, nulla.
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