Arrivato al quarantasettesimo film della carriera (includendo anche l’episodio di New York Stories) al ritmo di un all’anno, cos’altro potrebbe avere d’interessante da dire un regista? In che modo i personaggi, i temi e le situazioni messe in scena in Cafè Society possono dirsi originali anche se già viste in altri decine di film diretti? È ancora possibile sorprenderci e trovare spunti sui quali è possibile buttare giù anche una recensione? La risposta a queste domande è sì, se ti chiami Woody Allen.
La trama di Cafè Society
Il giovane Bobby Dorfman (Jesse Eisenberg) si trasferisce dal quartiere del Bronx newyorkese per raggiungere lo zio (Steve Carell) a Los Angeles, un impegnato impresario cinematografico dedito ad organizzare party a bordo piscina dove poter ingaggiare star per dei film. Bobby è sicuro che lì troverà il suo posto e cerca di farsi largo in un ambiente del tutto diverso da dove proviene. Si innamorerà di Vonnie (Kirsten Stewart), la giovane segretaria dello zio che in un primo momento sembra non contraccambiare il sentimento ma che poi, per una causa che non vogliamo svelare, cederà alla sua corte.
Il destino e le sue sfaccettature
Ancora una volta Allen ci parla del destino, tema a lui molto caro, e di come sia impossibile sfuggirgli. Di quante volte tenti di voltare pagina, di cambiare strada, vita, donna, lavoro ma che alla fine arriverà sempre a riscuotere il conto. E allora, in quel momento, devi decidere cosa fare: voltarti dall’altra parte o affrontarlo una volta per tutte. Oppure – ed è qui che Allen questa volta sembra voler andare a parare – lasciare tutto in sospeso, così com’è e vedere cosa succede.
Un Allen più maturo che lega più contesti che si sovrappongono
Se in Irrational Man lasciava al grottesco il compito di risolvere le cose, in Cafè Society Allen cerca di essere più pragmatico e meno cinico del solito, se non per certi dialoghi e frasi ad effetto che da sempre impreziosiscono in positivo sul cinema (“Vivi ogni giorno come fosse l’ultimo. Un giorno ci azzeccherai”). È un Allen ancor più maturo del solito, che parte da un contesto come lo sfavillante mondo del cinema degli anni ’30 per inserisci una e più storie d’amore, fino ad arrivare ad un discorso più ampio che mostra cosa c’è davvero dietro un mondo fatto di lustrini e paillette.
Bobby e Ben i personaggi chiave del film
Se la Vonnie interpretata da Kirsten Stewart è un’eterea e bellissima presenza che con i suoi primi piani impreziosisce il film, i personaggi su cui il regista di Match Point si sofferma di più sono Bobby (con cinquant’anni di meno l’avrebbe interpretato lo stesso Allen) e il fratello Ben, un criminale la cui famiglia è all’oscuro di tutti i suoi traffici. Anche se lo stereotipo del gangster newyorkese è lì dietro l’angolo (sorriso che arriva agli orecchi, eleganza e sigaretta sempre accesa in bocca), con il personaggio di Ben Allen mostra anche l’altra faccia dell’America e nel farlo ci mette anche il tema della religione, qui l’ebraismi, spesso presente nei suoi film, con tute le freddure del caso scritte dal regista e messe in bocca ai suoi personaggi.
Un film di opposti
Cafè Society è un film di opposti: il grigio di New York contro l’assolata Los Angeles; la borghesia contro la nobiltà; la religione contro l’ateismo; il passato contro il presente. Anche la pellicola contro il digitale, adottato per la prima volta da Woody Allen grazie alla complicità dell’ottimo direttore della fotografia Vittorio Storaro.
Ecco allora che, alla luce di quanto scritto inizialmente, i film di Woody Allen, nonostante la reiterazione di temi, sono sempre piacevoli ed interessanti da vedere perché c’è sempre quel qualcosa in più che ancora non è stato detto su quello specifico argomento e/o sul quel tipo di personaggio. Avercene ai giorni nostri di registi come Allen.
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