Well, it’s definitely different from what i though it’d be,
like so sad that it’s almost supernatural.
Non appena ho sentito Baxter Bayley pronunciare questa battuta durante Bunny, skull, bunny, skull (ep.10) ho immediatamente capito che citare queste parole sarebbe stato il modo migliore di cominciare la mia recensione della quarta stagione di Orange is the new black. Questo pensiero detto ad alta voce, infatti, esprime perfettamente ciò che ogni spettatore prova affacciandosi all’universo di Litchfield: sente di venire a contatto con un mondo fatto di emozioni fortissime che lo travolgeranno e molto spesso lo porteranno a commuoversi profondamente.
Ma queste parole sono importanti anche perché a pronunciarle è proprio Bayley: un personaggio che appare a prima vista del tutto secondario ma che risulta, in definitiva, assolutamente centrale in questa stagione. Per capire come ciò possa accadere occorre procedere con ordine e dal principio. In Work that body for me (ep.1) tutto ricomincia esattamente da dove ci eravamo interrotti: la maggior parte delle detenute aveva approfittato del buco creatosi nel recinto del carcere non per scappare (come sarebbe logico) ma per farsi un bagno nel laghetto e la terza stagione si era conclusa su questa scena così poetica e piena di speranza.
All’inizio di questa nuova stagione, però, l’attenzione viene spostata su qualcos’altro, ovvero:
Cosa sta accadendo mentre quasi tutte le detenute sono nel lago.
Alex, caduta vittima di un agguato, sta per essere uccisa dal sicario che Kubra ha mandato a Litchfield per farla fuori. Le cose sembrano mettersi male finché Holly Whitehill (uno dei personaggi di OITNB più defilati fino ad ora) non interviene e, in preda ad uno scatto d’ira, uccide il sicario. L’uccisione del finto agente e l’occultamento del suo cadavere seppellito a pezzi sotto l’orto della prigione, saranno la “questione latente” nel corso di tutta la stagione. Ma mentre lo spettatore attende che qualcuno, prima o poi, vada a dissotterrare quel cadavere e i segreti che esso porta con sé, dentro il penitenziario di Litchfield molte altri problemi sorgono e molti equilibri si spostano. Ha così inizio una stagione nettamente bipartita in due gruppi di episodi che procedono a velocità differenti. Gli episodi 1-7 risultano abbastanza pesanti per lo spettatore: il nuovo traffico di mutandine gestito dalle domenicane, i contrasti interni alle ispaniche e la deriva nazista fomentata involontariamente dalla Chapman sono narrate con troppa lentezza.
Il cambio di marcia si avverte a partire dalla chiusa di It sounded nicer in my head (ep.8): la marchiatura a fuoco di Pipes è il primo di vari momenti “forti” che si avranno in questa seconda metà di stagione è il trauma che la riporta ad avvicinarsi ad Alex, Nicky, Red e tutto il resto della family. Importante per il reintegro di Piper all’interno della sua cerchia è anche la riunione segreta, all’interno del campo di mais, durante la quale la triade Chapman-Vause-Nichols si scambia confessioni reciproche e fuma crack.
E’ un momento profondamente triste e malinconico, perfettamente in linea con una stagione in cui le detenute si chiedono più volte che cosa farebbero se potessero “tornare indietro nel tempo” e alcune di loro cercano persino di farlo, annebbiandosi con le bugie (Morello) o con la droga (Nicky) o costruendo macchine del tempo (Holly).
Orange is the new Black usa i flashback come elemento unificante
Anche in questa quarta stagione di OITNB fa da elemento unificante la presenza, in tutti gli episodi, di flashback. A mio avviso si tratta di un’espediente di cui Jenji Kohan e gli scrittori abusano un po’, spesso infatti l’alternanza “presente-passato” risulta prevedibile e stucchevole; da notare, però, la grandissima abilità con cui queste storie vengono raccontate. Storie, peraltro, diversissime tra loro: si va da casi commoventi (Healy, Holly), a storie strampalate (Blanca, Ramos), da racconti visionari (Poussey) a vicende tristi per il loro estremo realismo (Crazy Eyes). Inoltre i flashback sono il principale strumento con cui i creatori di OITNB assolvono a quello che, fin dalla sigla, si mostra come il loro principale obiettivo:
Raccontarci quello che, di queste persone – detenute / guardie, le rende ancora persone.
Nella sigla infatti vediamo i loro occhi e la loro bocca, ovvero i pochi tratti fisici che rimangono a identificarle poiché sono le poche cose che la tuta arancione non copre; allo stesso modo, nei flashbacks vediamo le loro vite precedenti, i loro amori, i loro familiari, le vediamo al lavoro, le vediamo truccate, pettinate. Insomma quei “salti nel passato” solo per lo spettatore lo strumento tramite cui ricordarsi sempre che Piper, Alex, Red, Mendoza, Boo, Healy e Bayley sono persone prima che detenute e secondini. Guardando OITNB mi è capitato diverse volte di pensare a quanta “abbondanza” ci sia: la sensibilità degli scrittori e della regista basterebbero per due o tre serie e le attrici straordinarie si sprecano (cito, a titolo d’esempio, le mie preferite: Yael Stone, Kate Mulgrew, Danielle Brooks, Natasha Lyonne e l’ultima arrivata Blair Brown). La serie potrebbe rinnovarsi all’infinito grazie a questa ricchezza e grazie, anche, a moltissime scelte sagge e coraggiose: un esempio? L’abbandonare il protagonismo binario Chapman-Vause che aveva dominato le prime due stagioni (e parzialmente la terza) per rendere, davvero, OITNB una “serie corale”, un affresco della società americana. Litchfield è la riproduzione, in piccolo, dell’America del XXI secolo: un universo complesso controllato un potere che sarebbe buono (Caputo) ma che si mostra totalmente incapace di far prevalere ciò che è giusto, spesso perché rimane troppo ammaliato dalla carica erotica del militarismo più becero e più ottuso (Linda).
Altra scelta a mio avviso assai azzeccata è quella di cambiare il modo in cui veniva gestita la tematica sessuale. Le precedenti stagioni di OITNB ci avevano abituato ad un abuso di scene spinte: ogni sentimento, sì anche quello di Piper e Alex, veniva volutamente e molto spesso mostrato solo nel suo carattere animalesco e istintuale. Solo l’amicizia sembrava poter essere “vera” e quindi degna di una rappresentazione delicata;
l’amore era, in poche parole, sempre e solo sesso.
In questa quarta stagione tutto cambia abbastanza radicalmente: Poussey e Soso, la nuova coppia interrazziale di Litchfield, vengono presentate (un po’ comicamente) quasi come due educande: le poche inequivocabili scene sessuali vengono caricate di ironia (si pensi al menage à trois Luscheck, Judy, Yoga-Jo oppure all’incontro ravvicinato tra Vinnie e Lorna nella sala colloqui) oppure marcate per sottolineare la loro efferatezza, trattandosi di violenze sessuali da parte dei secondini come forma di “pagamento” per l’elargizione di favori. Ma esattamente: cosa sta accadendo a Litchfield?
Il penitenziario è stato acquistato dalla MCC
un’azienda attenta solo al guadagno e che in nome dei profitti ha deciso di far arrivare nuove detenute all’interno del carcere già affollato e, insieme ad esse, una serie di nuove guardie – veterani di guerra, le quali con la loro inesperienza e con i loro (evidenti) PTS, raggiungono livelli di cattiveria e accanimento verso le inmates mai raggiunti prima. Riporto, a titolo d’esempio, il gioco sadico che c.o. Humprey impone alla detenuta Ramos: ingoiare un topolino vivo. Un qualcosa a mio avviso, di oltre ogni limite televisivo, troppo ripugnante, direi assolutamente insostenibile per lo spettatore e che era meglio non venisse inserito, anche perché è completamente gratuito in quanto non aggiunge nulla al corso degli eventi o alla caratterizzazione dei personaggi. Le detenute risentono tutte, allo stesso modo, di questa situazione: nere, ispaniche, bianche vengono mostrate come tutte ugualmente razziste (interessante, a questo proposito, una delle prime scene dell’ep.1) e tutte ugualmente vessate. Questa situazione assolutamente ingestibile, sommandosi ad altre questioni in sospeso (come l’immotivata detenzione in isolamento di Sophia Burset) non può che determinare l’escalation di violenza che ha luogo al termine della stagione.
L’inizio della fine è la scoperta del cadavere della (finta) guardia. Per l’omicidio viene “sacrificata” la povera pazza Holly che verrà internata; Healy, poco dopo, in preda ad un break-down psicologico tenta il suicidio e poi si fa ricoverare in una clinica psichiatrica. Intanto le detenute unendosi in modo (stranamente) interrazziale decidono di coalizzarsi nel mettere in atto una protesta simbolica e pacifica per ottenere il licenziamento di Piscatella, il nuovo spietato capo delle guardie. Decidono di mettersi in piedi sui tavoli, così come la detenuta Blanca è stata costretta a rimanere per giorni e giorni non volendosi piegare agli immotivati abusi del potere. La manifestazione però preoccupa i secondini i quali reagiscono, come loro solito, con violenza: a compiere il gesto più grave, però, non è uno dei cattivi bensì Baxter Bayley, l’agente più giovane e più umano… ma anche il più inesperto. Terrorizzato dal clima di sommossa e incapace di calmare Crazy Eyes che sta avendo una delle sue crisi, il ragazzo non capisce che Poussey gli si sta facendo incontro per aiutarlo a tranquillizzare Suzanne e la schiaccia a terra soffocandola fino ad ucciderla.
Un epilogo tragico e simbolico
Ad uccidere è quanto (poco) di buono era rimasto all’interno del carcere, quel ragazzo ingenuo e un po’ fifone che Caputo (quasi presentendo un evento drammatico) aveva incoraggiato a licenziarsi; a colpire in modo irrazionale e mortale è lui, che si aggirava per i corridoi di Litchfield come fosse la nostra coscienza di spettatori, perduta tra queste miserie umane.
A morire, invece, è Poussey: (non a caso) la detenuta più innocua, più colta, più amata. Tutto questo, però, non accade nell’ultimissimo episodio (come ci saremmo aspettati) bensì nel penultimo. Con una scelta in pieno stile OITNB la Kohan ha deciso infatti di dedicare gli ultimi 80 minuti della stagione alla descrizione della terribile situazione che viene a crearsi dopo l’omicidio di Poussey: il cadavere viene lasciato steso a terra per un giorno intero in attesa di direttive da parte della MCC. L’effetto è quello di far scontrare il più possibile gli spettatori con la brutalità dell’accaduto. Solo a fine giornata Caputo fa una dichiarazione pubblica, non riuscendo però (come suo solito) a difendere pienamente né i suoi uomini né le detenute. Intanto la carcerata – segretaria Taystee ha assistito nascosta alla conferenza stampa e, avendo capito che Bayley non verrà licenziato, aizza tutte le detenute alla rivolta.
La stagione si chiude con Dayanara Diaz che punta una pistola alla testa dello spregevole agente Humprey. La ragazza premerà il grilletto? Lo sapremo tra circa un anno.
Orange is the new black è stata rinnovata, per nostra fortuna, fino ad un’ipotetica stagione 7.
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