Possiamo dire che la seconda parte della quarta stagione di Vikings sia la migliore fino ad ora? Sicuramente un’affermazione forte, ma ci sono le basi per poter dire che almeno è il migliore spezzone di stagione da un po’ di tempo a questa parte per la serie di History Channel, sia per impatto emotivo, sia per grandiosità di alcune scene realizzate.
Vikings, 4b, una stagione più compatta
Il primo grosso pregio è una maggiore sensazione di compattezza della storia e delle trame narrate, che, soprattutto dopo l’evento cardine di questa stagione, ossia la morte di Ragnar, confluiscono di forza verso un unico scopo. Ed è interessante anche vedere come il tutto sia un transfer letterario, perché lo stesso personaggio di Ragnar corre incontro e pianifica la sua fine con lo scopo di far ritrovare unità al popolo vichingo, quell’unità necessaria alla realizzazione dei suoi sogni, che lui non vedrà avverarsi ma che solo lui potrà mettere in moto. Ragnar, alla fine, ha una visione talmente ampia del futuro del suo popolo e una tale dedizione a plasmare quel futuro che arriva a capire e concepire come lui stesso sia e debba essere sacrificabile per lo scopo.
Ed in quel transfer letterario che menzionavamo prima, vediamo proprio avvenire la stessa cosa per la serie: la morte di Ragnar ridà compattezza, scopo e direzione allo stesso racconto che recupera tutti i rivoli e li trasforma in fiume in piena che si abbatte tanto sugli Anglosassoni quanto sugli spettatori che non possono che essere colpiti dalla perdita di un personaggio tanto amato e fondamentale, ma che ritrovano l’epicità della Storia (quella con la S maiuscola) in un nuovo filone carico di drammi e tensioni.
Il prima della morte di Ragnar
Perché effettivamente c’era stato un prima, una serie di episodi che riprendevano il filo della narrazione a distanza di qualche anno dalla sconfitta francese e dal tradimento di Rollo, che aveva costituito il finale della prima parte di quarta stagione di Vikings, e che vedeva l’evoluzione del mondo norreno come un disordinato susseguirsi di eventi, alla maniera di un popolo che non è mai stato unito, ma composto da una moltitudine di individui e clan. In questo prima abbiamo seguito diverse linee narrative, dal tentativo di Bjorn di spingersi verso il Mediterraneo, alla lotta di Lagertha per la conquista del trono di Kattegat, alle problematiche interne alla famiglia di Ragnar condite da rivalità tra i fratelli, al viaggio di Ragnar stesso in Inghilterra.
Tutto questo è stato un po’ funzionale a riprendere le fila del racconto, un po’ necessario per presentare il nuovo ambiente e le nuove figure, soprattutto della seconda generazione vichinga, ed ha costituito un buon insieme di episodi, scorrevoli ed interessanti, specie sul piano storico, raffigurando la sempre maggiore espansione esplorativa e razziatoria di un popolo ed anche l’evoluzione dei Vikings da coltivatori e naviganti ad una maggiore identità commerciale (si veda l’evoluzione stessa di Kattegat), ma mancavano di quell’epicità che avevamo visto a tratti nelle stagioni precedenti, sia che fossero i primi approcci con l’Anglia, sia la roboante spedizione in terra francese. Solo Ragnar poteva riunire le fila e così è stato.
Il dopo la morte di Ragnar
Ragnar muore, è artefice della propria morte e sceglie di morire con tutta la fierezza che contraddistingue l’essere vichingo, in un episodio praticamente monografico che, pur sapendo storicamente cosa sarebbe successo, ha una carica emotiva enorme per lo spettatore, che in anni ha identificato lo show con Travis Fimmel, con la sua esuberanza, pazzia e genio. Il momento era atteso, ma è risultato difficile e soprattutto ha lasciato delle preoccupazioni, cosa sarebbe stato Vikings senza Ragnar? Ma il buon vichingo, e il creatore Michael Hirst con lui, hanno avuto ragione nuovamente.
Tutte le trame sono di nuovo confluite in una, con la breve parentesi, pur collegata, dell’assalto a Kattegat, tutti i protagonisti, con l’eccezzione di Lagertha, si sono di nuovo trovati sotto lo stesso metaforico tetto e la tanto attesa grande nuova spedizione in Inghilterra ha potuto avere inizio, portandoci ad assistere a momenti veramente importanti.
L’aquila di sangue su Re Aelle, ma soprattutto la grande battaglia finale, gestita con tutta la carica vichinga e con i brillanti piani di Ivar sono lo spettacolo che stavamo aspettando e che porta a compimento un lungo piano.
Ma i piani di Ragnar, i successi temporanei saranno destinati a fallire? Viste le ultime scene dell’episodio finale e conoscendo la tempra vichinga, pare proprio di sì, quantomeno in parte. Il grande sogno del defunto Re Vichingo, di trasformare la sua gente da orda in popolo, sembra scontrarsi con la dura realtà che l’unità è avvenuta solo per una vendetta ma non durerà; ognuno proseguirà per la sua strada come le lotte intestine continueranno ed è ben dimostrato da quanto Ivar fa a Sigurd, la rivincita inglese è dietro l’angolo e ne intravediamo la faccia nel nuovo arrivato Jonathan Rhys Meyers, che sembra un personaggio decisamente affascinante. Nuove storie ci attendono nella quinta stagione, ma un popolo vichingo unito, temo di no.
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Vikings 4B
Valutazione globale
Compatto e epico