Dopo l’evidente svolta “indipendente” del filone degli X-Men iniziata anni fa con X-Men: L’inizio del 2011, siamo giunti al capitolo finale attingendo dalla saga della Fenice Nera, giungendo così a X-Men: Dark Phoenix. Il potenziale insito nella storia della svolta oscura di Jean Gray tuttavia non viene sfruttato sapientemente nel film, che si caratterizza per una regia confusionaria e una sceneggiatura decisamente fuori fuoco.
X-Men: Dark Phoenix: sinossi
Il film si apre nel 1975: Jean Gray (Sophie Turner) è una bambina rimasta orfana in seguito a un incidente stradale, che viene accolta da Charles Xavier (Jame McAvoy) nella sua accademia per mutanti, con la promessa che le insegnerà a controllare il suo immenso potere. 1992: Jean e la squadra, composta da Hank (Nicholas Hoult), Raven (Jennifer Lawerence), Scott (Tye Sheridan), Tempesta (Alexandra Shipp) e Kurt (Kody Smit-McPhee), partono per una missione nello spazio, dovendo salvare l’equipaggio di uno shuttle. Qui le cose si complicano, e Jean è l’unica a poter gestire un’enorme quantità di energia cosmica, che segnerà la sua trasformazione in Fenice Nera. Molti sono interessati alla forza che questo potere cosmico ha infuso nella ragazza, tra cui Vuk (Jessica Chastain), capo di un impero alieno perduto che ha l’intenzione di riportarlo alla luce grazie ad esso.
X-Men: Dark Phoenix: le nostre impressioni
Osservando globalmente questo X-Men: Dark Phoenix sembra chiaro che ci siano più problemi che note positive, o meglio, che siano quantitavamente più grandi delle lodi. Ma procediamo con ordine.
Partiamo da quell’elemento che fa scheletro a ogni film, ogni produzione, ovvero la sceneggiatura. Questa non ha niente di davvero meritevole, è priva di quell’elemento sorprendente tipico delle sceneggiature cinecomic, ed è scandita da un ritmo eccessivamente lento. Questo processo di rallentamento narrativo è inversamente proporionale al procedere delle tematiche e degli elementi provenienti dalla saga di Fenice Nera: più la storia si fa complicata, più rallenta il ritmo, in una spirale discendente che smorza l’entusiasmo del pubblico. Tutto, dall’azione alle dinamiche tra personaggi si riduce progressivamente ai minimi termini, togliendo agli attori, in questo caso, la possibilità di salvare il salvabile in una sceneggiatura che fa acqua. Inoltre, molti sono gli snodi narrativi incoerentemente sviluppati tra X-Men Apocalypse e Dark Phoenix, per esempio, i blocchi nella mente di Jean non erano già stati distrutti da Xavier stesso in Apocalypse per permettere alla ragazza di sconfiggere il Primo Mutante?
Il problema sceneggiatura di Dark Phoenix si collega a un altro ventaglio di argomenti tra cui quello della costruzione del personaggio e della sua contestualizzazione. Esempio numero 1, chi è esattamente Vuk? La spiegazione data dal capo della razza aliena D’Bari è davvero misera, non che ci aspettassimo un capitolo dell’enciclopedia Treccani, ma una dignitosa contestualizzazione del popolo e della storia di Vuk. Esempio numero 2, questa incredibile forza cosmica, da dove si origina davvero, qual è il suo scopo, è priva di coscienza o è mossa da qualche mente superiore al suo interno? Ma soprattutto, sarebbe stata necesseria una spiegazione circa il motivo per cui questa forza non ha distrutto Jean come ha fatto in precedenza con tutto ciò che incontrava. Jean è senz’altro un mutante dalle doti eccezionali, forse il più potente della Terra, ma questa potenza è rimasta narrata “in potenza”, solo accennata nel finale di X-Men Apocalypse.
Un altro grande problema è la scelta dell’attrice interprete di Jean Gray, Sophie Turner. Che fosse attorialmente poco messa a fuoco sul personaggio mutante era chiaro fin dai primi film. Tuttavia, in un genere dalle specifiche nette e definite come i cinecomic, dove il focus sui personaggi dalle peculiari carratteristiche è fondamentale, una prova attoriale poco convincente come quella della Turner non aiuta il tono generale di Dark Phoenix. Ciò diventa ancor più importante nel momento in cui il personaggio che interpreta ha poteri telepatici e telecinetici, di certo non fatti di grandi effetti visivi. Tutta la prova attoriale allora ricade sulla fisicità, sull’espressività, e in questo senso la Turner non è riuscita a veicolare propriamente la carica emotiva della sua Fenice Oscura, creatura cosmica fatta di desiderio, brama, rabbia e dolore.
In netta opposizione all’interpretazione della Turner tuttavia appare quella di Michael Fassbender nel ruolo di Magneto. Forte, prestante, espressivo, Fassbender con la sua interpretazione del mutante in grado di controllare i metalli è riuscito a trovare un equilibrio, raffinato negli anni, tra azione, potere, desiderio di gloria e drammaticità, dimostrando perciò una maggiore consapevolezza recitativa.
Alto potenziale ma scarsa esecuzioneX Men: Dark Phoenix
valutazione globale - 5
5
X-Men: Dark Phoenix: giudizio in sintesi
X-Men: Dark Phoenix è un prodotto che porta sulle spalle la grande responsabilità di un background come quello del ciclo di Fenice Nera, che però evidentemente schiaccia il prodotto globalmente. Una sceneggiatura mal strutturata, che non caratterizza propriamente i personaggi e che da poco contesto, è una prova attoriale poco convincente, in particolare della protagonista principale, rendono Dark Phoenix un prodotto decisamente non memorabile. Simon Kinberg, ci hai provato, ma hai fallito.
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